Auspichiamo che questa manovra finanziaria non si risolva in un inasprimento dell’imposizione fiscale e del peso dello Stato sui singoli Cittadini

Il vero federalismo fiscale sarebbe il più efficace degli interventi per il contenimento della spesa e per la razionalizzazione, nonché maggiore equità, delle entrate

Intervento in Aula nella discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 1996-1998

Presidente,

credo che i punti centrali del documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame siano gli obiettivi che il Governo si propone di raggiungere per la politica economica e finanziaria del prossimo anno. Tali obiettivi sono certamente condivisibili e sono i seguenti: risanamento della finanza pubblica, rimozione del drift inflazionistico dell’economia e riduzione del peso della disoccupazione nelle aree depresse e non del Paese. Ribadisco che sono obiettivi pienamente condivisibili, salvo forse la misteriosa citazione del termine drift inflazionistico, rispetto al quale ritengo che la maggior parte dei Cittadini italiani avrebbe qualche problema di interpretazione. Allo stesso modo, giudico in maniera positiva la previsione della diminuzione del fabbisogno del 1995 rispetto all’anno precedente. È una svolta che, se venisse confermata alla fine dell’anno (e speriamo che lo sia), avrebbe una portata storica, perché sarebbe la prima volta da numerosi anni a questa parte che ciò si verifica. Ciò potrebbe veramente costituire l’avvio del risanamento della finanza del nostro Paese.

Altro elemento positivo è costituito dall’aumento dell’avanzo primario, che nel 1995 dovrebbe raggiungere addirittura 60mila miliardi. Si tratta di un risultato molto importante, che consente di ottenere una diminuzione – in termini percentuali del PIL – del debito pubblico. Tuttavia, da esso si deduce anche che il Contribuente italiano dovrà pagare, in termini di tasse, 60mila miliardi in più rispetto a quanto lo Stato spenda per lui in servizi. Se non vi fossero stati quei 20-30 anni di spesa «allegra», prodotta da una politica consociativa e ben poco attenta alle aspettative dei Cittadini, ci troveremmo probabilmente in una situazione di gran lunga migliore rispetto all’attuale: potremmo investire 60mila miliardi in più in servizi, oppure ridurre di 60mila miliardi le tasse. Purtroppo, il guaio è stato combinato, e ora ci si trova nella situazione di dover chiedere ai Cittadini molto più di quanto lo Stato possa fornire ai medesimi. Dal documento presentato si evince, inoltre, che il fabbisogno tendenziale per il 1996 passerebbe dai 130mila miliardi dell’anno in corso ai 143.500 miliardi del prossimo anno. Senza interventi, dunque, la positiva tendenza che si è manifestata, per ora timidamente, sarebbe completamente rovesciata l’anno prossimo. È certo, pertanto, che occorre intervenire.

Sulle pensioni discuteremo tra breve, quando giungerà in Aula il disegno di legge di riforma. In proposito, mi limito a svolgere una sola considerazione: una volta a regime, la riforma sarà certamente più dura di quella proposta dal Governo Berlusconi, difendendo la quale otto mesi fa si rischiava di passare per sanguisughe e derubatoli di vecchiette! La riforma, in realtà, sarà meno dolorosa di quella proposta un anno fa, poiché non ci saranno le stesse descrizioni apocalittiche da parte della grande Stampa e dei sindacati. Non ascolteremo più i toni apocalittici che prevedevano una vecchiaia di stenti per tutti! La benevolenza della Stampa, però, non può mutare le cifre reali – anche se questo si vorrebbe fare – ma di certo le renderà meno antipatiche e meno dolorose da sopportare. Tuttavia, la sola riforma delle pensioni non potrà certo essere sufficiente per colmare la differenza tra il fabbisogno tendenziale e quello che invece si intende raggiungere. Su questo punto, la valutazione del nostro Gruppo è molto chiara: siamo contrari a un ulteriore aumento dell’imposizione fiscale.

Come già abbiamo potuto constatare – troppo a lungo e in misura troppo grande – in passato, aumento dell’imposizione significa minore competitività per le nostre aziende, meno lavoro e dunque, alla lunga, minor gettito e più inflazione – la più iniqua, pericolosa e subdola delle tasse. Quest’ultima, infatti, causa instabilità, incertezza, è nemica della pace sociale; senza contare che, con il riaccendersi di una fiammata inflazionistica, potrebbe veramente essere in pericolo tutto quanto di positivo è stato fatto o s’intenderà fare nei prossimi anni.

Quando a febbraio votammo contro la manovra correttiva (sostenendo che, aumentando le aliquote IVA, il prezzo della benzina, del gasolio, del metano e di altri generi di consumo, avremmo certamente favorito un aumento dell’inflazione) ci venne risposto che sbagliavamo: purtroppo, invece, avevamo ragione! Il documento presentato dal Governo lamenta il fatto che, nel 1994, l’inflazione sia stata ancora molto al di sopra del tasso medio riscontrabile nei tre Paesi dell’Unione europea con il miglior risultato (la media in quei Paesi era del 2 per cento, mentre il nostro tasso di inflazione è stato pari al 3,9 per cento). Oggi sappiamo che il tasso di inflazione nel nostro Paese ha raggiunto il 5,8 per cento. Ci viene assicurato che si tratta di poca cosa, di una fiammata, che nel corso dell’anno l’inflazione sarà riassorbita – tanto che il tasso programmato per il 1996 è del 3,5 per cento, per scendere poi al 3 per cento e al 2,5 per cento negli anni seguenti. Condividiamo l’auspicio, meno la previsione…

Con occhio attento al pericolo di eventuali nuove tasse, di aumento dell’imposizione fiscale, consideriamo gli interventi previsti. Osserviamo in primo luogo gli interventi sulle entrate: elemento positivo è il contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale. Certamente ciò va fatto e tutti devono essere sensibili al riguardo: lo Stato, chi governa e soprattutto i Cittadini; i quali devono comprendere che l’evasione fiscale non è la panacea, che non pagano di più gli altri ma pagheremo di più tutti, perché chi paga le tasse fino all’ultima lira viene in qualche modo colpito da un inasprimento dei tributi. Tale contrasto, però, non deve comportare un aumento della burocrazia, dei controlli, delle trappole, degli adempimenti burocratici; altrimenti diventa una vessazione e non una vera lotta all’evasione fiscale. Al riguardo, sono fornite assicurazioni nel documento del Governo: si parla, infatti, di proseguire – accentuandola – l’opera di semplificazione, certamente doverosa nella giungla fiscale attualmente esistente nel Paese.

In tema di vigilanza contro l’aumento della pressione fiscale, suscita preoccupazione il proposito di completare la ristrutturazione delle aliquote. Alla luce delle esperienze passate, sappiamo che si tratta di accorpamenti o scorporamenti sempre o quasi verso l’alto. La preoccupazione è confermata dal fatto che, nella relazione, si afferma che si tiene presente l’esigenza di limitare i riflessi sull’inflazione; speriamo che la si tenga presente meglio di come è avvenuto nel febbraio scorso, allorquando si varò una manovra che non avrebbe dovuto generare inflazione e che, invece, l’ha portata alle soglie del 6 per cento.

Curiosamente – ma non tanto, perché è ormai storia conosciuta – i veri pericoli di aumento del peso dello Stato sui Cittadini non provengono dagli interventi sulle entrate ma da quelli sulle spese. Si parla – ed è certamente da condividere – di eliminare sprechi, duplicazioni, forniture di servizi non essenziali; è più preoccupante il riferimento al potenziamento del contributo degli “utenti” al finanziamento del costo delle attività dei servizi pubblici. Ciò significa, in pratica, l’incremento dei costi di tali servizi – dunque, ad esempio, dei ticket sotto varie forme e vari nomi, come è stato sottolineato poco fa da chi mi ha preceduto. Sempre per quanto riguarda la Sanità, sappiamo che, in talune strutture pubbliche, il ticket è più costoso del prezzo totale del servizio che si pagherebbe in strutture private; occorre prestare particolare attenzione al riguardo: se si afferma che non si aumentano i tributi ma si incrementa il ticket, ove questo superi il costo che dovrebbero avere certi servizi, non si può parlare altro che di imposizione di tributi anche se non configurati come tali.

Intravediamo pericoli anche nella parte in cui si parla di interventi di contenimento di trasferimenti a favore delle grandi aziende e di erogazione di servizi pubblici quali Poste, Ferrovie, trasporti locali (immagino ci si riferisca anche ad altri): tali interventi sono certamente da condividere, a condizione che siano accompagnati (di per sé non lo comportano di certo) da un aumento di efficienza delle aziende che forniscono i servizi stessi e non semplicemente dall’incremento delle tariffe (cosa che, come altre, abbiamo visto molto spesso negli ultimi anni).

Un punto molto importante è quello relativo alle privatizzazioni; il documento è abbastanza incoraggiante al riguardo: si richiamano una serie di misure che dovrebbero permettere un’accelerazione delle procedure per la privatizzazione delle aziende. Ci auguriamo che i buoni propositi giungano a complimento, in modo che le privatizzazioni siano realizzate effettivamente e siano oculate, senza comportare favoritismi – come è accaduto più volte in passato – verso ben individuate aziende, ben individuati gruppi di interesse e ben individuate famiglie.

Vengo, infine, ad un punto che ci sta molto a cuore; mi riferisco al decentramento fiscale e alle Regioni, là dove si parla addirittura di federalismo fiscale. Su ciò concordo con l’onorevole Hullweck, che è intervenuto poc’anzi e il quale ha detto di fare attenzione a non usare una grossa parola per piccola cosa. Il fatto che il federalismo fiscale di cui si parla nel documento – o, meglio, la sua applicazione pratica – sia piccola cosa, lo si ricava dal suo inserimento in un capitolo a parte, quasi si trattasse di un contentino per la forza politica che è stata determinante nel far cadere il Governo precedente e nel far nascere l’attuale. Ritengo, infatti, che se vero federalismo fiscale fosse, sarebbe stato incluso nei capitoli relativi agli interventi sulla spesa e sulle entrate, poiché è il più efficace degli strumenti sia per controllare la spesa sia per razionalizzare le entrate. Infatti, se così fosse stato, si sarebbero responsabilizzati tutti gli organi periferici dello Stato per una spesa più controllata e vicina ai Cittadini, ai Contribuenti, i quali avrebbero avuto la possibilità di vigilare in modo più efficace. Riteniamo che questo sia l’obiettivo sul quale puntare; e non lo affermiamo come petizione di principio, ma basandoci su studi molto accurati compiuti da istituti al di sopra di ogni sospetto. Da tali studi emerge che il vero federalismo fiscale, che non consiste però nell’affidare alle Regioni il compito di imporre nuovi e ulteriori (quindi non sostitutivi) tributi, sarebbe il più efficace degli interventi per il contenimento della spesa e per la razionalizzazione, nonché maggiore equità, delle entrate.

Con le numerose perplessità che ho esposto, attendiamo la traduzione pratica dei propositi, spesso buoni, elencati nel documento di programmazione economico-finanziaria, facendoci carico di vigilare affinché ai buoni propositi corrispondano atti conseguenti e affinché anche questa manovra finanziaria non si risolva in un inasprimento dell’imposizione fiscale e del peso dello Stato sui singoli Cittadini.

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