Difesa dei diritti umani e delle libertà civili in Turchia e rivalutazione degli accordi presi in sede europea

Mozione presentata dai senatori di Forza Italia Romani, Bernini, Floris, Pelino, Malan, Gasparri, Minzolini, Razzi, Scilipoti Isgrò, Alicata e Fasano

Il Senato,

premesso che:

nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 luglio 2016, una parte dell’Esercito turco ha tentato un colpo di Stato per rovesciare il presidente Recep Tayip Erdogan e il Governo in carica;

il ‘golpe dei colonnelli’, cosiddetto per il coinvolgimento di ufficiali non apicali, tanto da rendere necessario il rapimento del Capo di Stato Maggiore della difesa da parte dei golpisti, si è in breve tramutato in guerra civile, con la popolazione schierata a metà a favore dei ribelli e a metà a favore del presidente Erdogan;

gli scontri nelle strade hanno visto, da un lato, i militari golpisti – in possesso di armi, elicotteri e carri armati, e, secondo le accuse, anche caccia F16 – e dall’altro i militari lealisti, che controllavano l’aviazione, la Polizia e i servizi segreti, che oggi affermano di aver informato i vertici dell’Esercito dell’organizzazione in corso del colpo di Stato già intorno alle 16 del giorno stesso;

ben presto, le forze ribelli hanno dovuto soccombere e il bilancio della violenza di quella notte è di 308 morti, di cui 100 complottisti e 208 ‘martiri’ anti golpe (come definiti dal Governo); tra questi figurano 145 civili, 60 agenti di polizia e 3 soldati, e circa 1.500 feriti; non è ben chiaro se a questi numeri vadano aggiunte le vittime, fra i golpisti, dei linciaggi (con decapitazioni riprese da video diffusi sul web) da parte della folla armata e inferocita;

al fallimento del golpe ha fatto seguito la durissima reazione del Governo: il primo ministro Binali Yildirim, sabato 17 luglio, ha dichiarato che il tentato golpe è una “macchia nera” sulla democrazia del Paese e ha promesso una dura punizione per coloro che sono coinvolti. A tali dichiarazioni sono seguite quelle del presidente Erdogan, con toni più forti e con maggiore determinazione, sino a dichiarare la possibilità di ripristino della pena di morte e, comunque, di non opposizione all’eventuale decisione del Parlamento turco di reintrodurla;

a oggi, sono 7.500 circa gli arresti di coloro che sono considerati coinvolti nel tentato colpo di stato, fra cui più di 6.000 militari (le cui immagini, denudati, ammanettati e inginocchiati, hanno fatto il giro del mondo), più di 700 magistrati, 100 poliziotti e 650 civili; quasi 30.000 funzionari pubblici sospesi, tra cui circa 15.000 insegnanti e funzionari del Ministero dell’istruzione, 3.000 membri della magistratura, quasi 9.000 funzionari del Ministero dell’interno, circa 100 membri dell’intelligence e 1.500 del Ministero delle finanze; 20 siti web di informazione vietati e altrettante licenze radiotelevisive ritirate; circa 500 dipendenti allontanati, tra imam e docenti di religione, dalla Diyanet, massima autorità islamica che dipende dallo Stato; la Diyanet ha anche annunciato che non permetterà lo svolgimento dei funerali islamici per i golpisti uccisi;


tenuto conto che:

il sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi ha condannato il fallito colpo di stato in Turchia definendolo “illegittimo”, chiamando i ‘governi miscredenti’ non ‘benedetti’ e auspicando “presto con il volere di Allah, un incontro in Turchia” e che “l’esercito turco [finisca] nell’abisso”;

dopo le iniziali dichiarazioni dei leader internazionali a favore del ristabilito ordine democratico a golpe fallito – a partire dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini – il Consiglio dei 28 Ministri degli esteri, riunito a Bruxelles, ha esortato la Turchia al rispetto dei valori democratici e dello Stato di diritto, ribadendo che la loro violazione o la reintroduzione della pena di morte escluderebbe lo Stato turco dalla procedura di adesione all’Unione europea;

il Segretario di Stato americano, Kerry, ha richiamato la responsabilità della Turchia come membro NATO di fronte alle migliaia di arresti e alle misure restrittive adottate nella pubblica amministrazione, nelle Forze armate e nei media;


rilevato che:

il presidente Erdogan ha definito, in un passaggio, questo tentato golpe “un dono di Dio” per liberare la società ‘dal virus di Gulen’, riferendosi a Fethullah Gülen, imam che vive come rifugiato politico in Pennsylvania, negli Stati Uniti, che ritiene essere l’ispiratore del tentato golpe;

alle accuse mosse dal presidente Erdogan nei confronti di Gulen e alla relativa richiesta di estradizione, presentata oggi, corredata da 4 dossier, il Segretario di Stato Kerry ha risposto chiedendo le necessarie prove a carico di Gulen e del suo coinvolgimento nell’organizzazione del colpo di stato fallito;

la base aerea di Incirlik, nell’Anatolia meridionale, si trova al centro delle indagini sul tentato golpe: una squadra della Polizia investigativa turca, coordinata da 2 capi procuratori aggiunti, è entrata nella base militare utilizzata dalle forze di coalizione a guida USA per i raid anti Daesh in Siria e Iraq e l’ha sottoposta a una perquisizione capillare. Nel complesso militare, sabato 10 luglio, a tentativo di colpo di stato ormai fallito, erano stati arrestati il generale Bekir Ercan Van, Capo della base, e altri ufficiali dell’Aviazione accusati di essere coinvolti nella rivolta. Secondo le accuse, la base sarebbe stata utilizzata per rifornire di carburante gli aerei e gli elicotteri dei quali si sarebbero impadroniti i golpisti;

non appena ripreso il controllo, le forze rimaste fedeli al Governo di Ankara hanno circondato la base di Incirlik, imponendo il divieto di tutti i movimenti in decollo e in atterraggio, la chiusura dello spazio aereo e interrompendo la fornitura di energia elettrica;

sono circa 1.500 gli americani attivi nella base impegnati nelle operazioni anti Daesh, operazioni che hanno subito un immediato arresto, a seguito delle imposizioni delle forze lealiste e che sono riprese regolarmente solo 2 giorni dopo il tento golpe;

considerato che:

l’accordo raggiunto tra i 28 leader europei e la Turchia (in base a quanto stabilito nell’accordo negoziato nella missione in Turchia del vicepresidente Timmermans e del commissario per l’allargamento Hahn) per la gestione dei migranti prevede: il respingimento dei migranti in Turchia (per ogni profugo siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano verrà trasferito dalla Turchia all’Unione europea, attraverso dei canali umanitari); la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, a partire dal 1° giugno 2016; aiuti economici alla Turchia attraverso il versamento da parte dell’Unione europea di 3 miliardi di euro, già approvati nel vertice di novembre 2015, per la gestione dei campi profughi e la mobilitazione “fino a un massimo di altri 3 miliardi entro fine 2018”, ma solo dopo che i primi 3 miliardi saranno spesi; l’adesione della Turchia all’Unione europea;

durante il mese di giugno, l’Esercito italiano ha schierato una batteria di missili terra aria SAMP/T in Turchia, così come previsto dall’art. 8 del decreto sulle missioni internazionali (decreto-legge n. 67 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 131 del 2016), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 maggio 2016; tale schieramento avviene nell’ambito dell’impegno di partecipazione all’operazione NATO, denominata “Active Fence”, a difesa dei confini sudorientali dell’alleanza (e della Turchia); l’impiego della batteria di missili terra/aria SAMP/T, come previsto dall’operazione NATO autorizzata dal Consiglio di sicurezza atlantico, è destinato a potenziare le capacità di difesa dai missili balistici ai confini con la Siria; a oggi, non risulta che Daesh sia in possesso di missili balistici;


valutato che:

i numeri degli arresti e delle sospensioni dai pubblici uffici registrati a oggi e le modalità con cui vengono portati avanti non risultano proporzionati alla reazione di un Governo democratico a un tentato golpe;

le istituzioni internazionali, in primis quelle europee, non possono ignorare la repressione e la sostanziale epurazione messa in atto dal presidente Erdogan, sulla base di liste che sembra difficile possano contenere persone direttamente coinvolte nel tentato sovvertimento del Governo, che disegnano un quadro di forte crisi democratica nel Paese e limitarsi a paventare l’introduzione della pena di morte;

alla luce del coinvolgimento anche di civili – sia dall’una che dall’altra parte – negli scontri avvenuti in seguito della discesa in strada dei carri armati, si registra una spaccatura profonda nella società turca,


impegna il Governo:

1) nel ribadire la ferma condanna per ogni tentativo di sovvertimento dell’ordine democratico in Turchia, ad agire all’interno delle istituzioni dell’Unione europea affinché:

1.a. si possano verificare i fatti della notte tra il 15 e il 16 luglio, con particolare riguardo agli episodi di violenza e alle relative responsabilità;

1.b. venga fatta ogni possibile pressione sul Governo turco per il ripristino dello Stato di diritto, della libertà di stampa e dei diritti umani;

1.c. sia garantito lo svolgimento di un processo equo e democratico per tutti gli accusati di coinvolgimento nel tentato golpe;

1.d. a intervenire con ogni mezzo affinché non venga ripristinata la pena di morte, ricordando l’assoluta incompatibilità con la candidatura all’ingresso nell’Unione europea;

1.e. a vigilare affinché il processo in corso non favorisca il rafforzamento di Daesh nella regione;

1.f. a rivalutare le condizioni e l’opportunità degli accordi con la Turchia sui migranti, verificando l’utilizzo dei fondi già erogati e di quelli da erogare entro il 2018;

1.g. a valutare attentamente la sospensione o la definitiva chiusura del dossier riguardante l’entrata della Turchia nell’Unione europea;

2) a promuovere in sede NATO la riconsiderazione degli equilibri geopolitici nell’intera area, alla luce della nuova situazione in Turchia, con particolare riguardo agli impegni relativi alla missione NATO “Active Fence”.

Torna in alto