“Abolizione del tempo pieno”, “abolizione delle mense”, “lezioni a pagamento”: le bugie inducono molte donne a lasciare il lavoro e molti nonni a chiedere la pensione in anticipo
Interrogazione al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Premesso che:
il tempo pieno nelle scuole è un’esigenza di grande ed irrinunciabile importanza per le famiglie che non hanno la possibilità di badare ai figli nel pomeriggio, che determina a sua volta la necessità di una mensa sorvegliata a prezzi ragionevoli, e la sola notizia che esso potrebbe essere abolito può creare danni molto gravi;
nella risposta del 17 ottobre 2003 alla interrogazione dello scrivente 4-04779 del 19 giugno il Ministro interrogato afferma chiaramente che il tempo pieno “dovrà essere assicurato dalle scuole corrispondendo alle richieste delle famiglie”, che “all’orario annuale obbligatorio la scuola dovrà aggiungere un orario ulteriore, per la stessa scuola obbligatorio e facoltativo per le famiglie, articolato sulla base delle richieste delle famiglie stesse e dedicato ad attività formative corrispondenti alle prevalenti richieste delle famiglie”, che “l’orario complessivo potrà pertanto raggiungere, comprendendo anche le ore destinate ai pasti, le 40 ore attualmente previste per il tempo pieno, ove le famiglie ne facciano richiesta”;
lo stesso Ministro ha più di una volta, anche in sede ufficiale, espresso lo stesso concetto, in particolare nella recente audizione presso la Commissione competente della Camera dove ha ribadito che la riforma “non riduce il tempo di frequenza offerto agli studenti, che possono frequentare, come è attualmente previsto, fino a un massimo di 40 ore settimanali, su richiesta delle famiglie. Il decreto, infatti, al fine di introdurre elementi di personalizzazione dell’offerta formativa, stabilisce un tempo scuola obbligatorio per le scuole… 27 ore settimanali, cui si aggiungono 3 ore settimanali che le scuole sono tenute ad offrire: la scelta è facoltativa e opzionale, non per le scuole, ma per gli allievi” precisando che “anche per le 10 ore dedicate alla mensa rimane la disciplina finora vigente”;
tuttavia, pressoché la totalità delle famiglie è raggiunta da una martellante campagna mistificatoria che si avvale di ogni mezzo, giornali nazionali e locali, specializzati e non, condotta anche da molti insegnanti con lettere collettive sulla Stampa, nonché direttamente rivolgendosi alle classi o persino conducendo i discenti, anche della scuola dell’infanzia, a manifestazioni di Partito o comunque di parte; in tale campagna si afferma che, per effetto della riforma, il tempo pieno verrà abolito, che parecchie ore di lezione saranno a pagamento, che le mense verranno parimenti abolite, il tutto per danneggiare la scuola pubblica risparmiando risorse da destinare alla scuola privata; si afferma inoltre che lo studio dell’informatica verrà ridotto a mero addestramento, che spagnolo, francese e tedesco spariranno, che l’inglese verrà insegnato da docenti che conoscono la lingua in modo approssimativo dopo un breve corso, che la scuola dell’infanzia viene ridotta a un mero parcheggio e così via;
a fronte di tale campagna di menzogne, le famiglie in grave allarme sono tra l’estrema difficoltà e l’impossibilità di conoscere la realtà delle cose e molto spesso, non avendo altre informazioni che quelle sopra riportate, danno per scontato che esse corrispondano al vero; le poche informazioni di stampo diverso sul contenuto della riforma vengono peraltro da convegni organizzati da Partiti di Governo o da loro parlamentari, con scarsità di mezzi e il marchio, per l’appunto, di parte che, a fronte di quanto detto dagli insegnanti, tende a passare per propaganda infondata;
il comunicato televisivo elaborato da codesto Ministero non dice una parola sui contenuti della riforma e dunque non è assolutamente idoneo a dissipare l’allarme;
il sito Internet del Ministero non contiene alcuna notizia utile a dissipare i dubbi delle famiglie; lo schema di decreto legislativo applicativo della legge 28 marzo 2003, n.53, in esso pubblicato non dà utili indicazioni in materia;
l’Ufficio Relazioni con il Pubblico, contattato quattro volte per e-mail, non ha mai risposto; a seguito del contatto telefonico avvenuto alle 12.27 di venerdì 17 ottobre 2003 allo 06.58492377, alla domanda: “Sono un genitore di due figli in età scolare. È vero che verrà abolito il tempo pieno? Sono un po’ preoccupato,” la testuale risposta data da una voce di donna è stata: “È una domanda un po’ difficile. Diciamo che tendenzialmente si tende ad abolire il tempo pieno per una questione di…”, dopo di che la linea è misteriosamente caduta, a circa venti secondi dall’inizio della conversazione; in seguito tale numero, nonché gli altri, 06.58492755, 06.58492796, 06.58492803, chiamati ininterrottamente dalle 12,30 alle 13 dello stesso giorno, sono risultati sempre occupati o, più spesso, senza rispondere, con due eccezioni: alle 12.50 il 58492377 ha risposto, ma non appena si è iniziato a formulare la domanda ha riattaccato, per poi risultare occupato fino a fine orario (le 13); alle 12.52, chiamando il 58492796, ha risposto il centralino dicendo: “Ma Lei sta chiamando dal Senato!”; formulata la solita domanda, ha risposto. “Le passo l’URP”; dopo un’attesa di qualche minuto allietata dalla musica d’attesa della canzone Yesterday, ha risposto una gentile Signora, la quale, sulla questione del tempo pieno, ha detto che al momento non si sa perché mancano i decreti attuativi, certa che “la tendenza è quella di tagli pesanti alla scuola, ci sono tagli grossi”, e dunque “ci sono punti dove bisogna andare a tagliare e si potrebbe andare a tagliare il tempo pieno”, poiché è chiaro che “meno ce n’è e meno si spende”; la Signora precisava tuttavia che per l’anno in corso le cose non cambiano ma riguardo all’anno prossimo, richiesta di cosa consiglierebbe di fare a una famiglia con due figli in età scolare dove la moglie non sa se lasciare il lavoro per seguire i bambini, rispondeva che non sapeva che dire, che occorrono alcuni mesi per saperne di più; consigliava infine di rivolgersi alla Direzione Regionale competente; all’obiezione dell’interrogante, il quale faceva notare che se tutto dipendeva dai decreti attuativi le direzioni regionali non potevano saperne nulla, la risposta era che comunque toccava a quelle dare disposizioni;
la Direzione Regionale del Piemonte rispondeva immediatamente, ribadendo all’incirca i concetti espressi dall’URP del Ministero ma sottolineando l’incertezza del momento e consigliando di tenere d’occhio il sito Internet del Ministero;
il 20 ottobre, il numero 06.58492796 alle 16.44 finalmente rispondeva; alla domanda: “Sono il padre di due bambini in età scolare. È vero che si dovrà pagare per avere il tempo pieno nella scuola dell’obbligo? Lo scrivono degli insegnanti della mia zona in lettere ai giornali e nei volantini”, replicava: “Bisogna chiedere al Dirigente scolastico. Visti i tagli che ci sono sulla scuola, perché ci saranno grossi tagli, il Dirigente Scolastico, non potendo offrire il tempo pieno, può organizzare delle attività al pomeriggio a pagamento. Ma non è obbligatorio, si possono sempre tenere i bambini a casa. In ogni caso quest’anno andrà avanti come è cominciato. L’anno prossimo è diverso”. L’interrogante insisteva: “Dunque, di fisso, o si paga o si tengono i bambini a casa!” E l’impiegata confermava: “Si stanno orientando in questo modo. D’altra parte i tagli sono pesanti e li subiamo tutti”;
il clima che la campagna mistificatoria crea provoca danni di poco inferiori a quelli che verrebbero generati dall’effettiva abolizione del tempo pieno e dalle altre misure negative di cui si parla, in quanto sono tali da indurre molte donne a lasciare il lavoro o a non cercarlo, nonché molti nonni e nonne a chiedere la pensione, andando dunque in direzione opposta alla politica e agli obiettivi del Governo sulla previdenza e sul lavoro; tale clima, inoltre, pesa sulla scelta del futuro scolastico dei figli orientando verso l’istruzione privata, non per questioni di qualità, il che sarebbe coerente alla logica della scuola come servizio pubblico indipendentemente dal fatto che sia statale o no, ma a causa di notizie infondate, la qual cosa si configurerebbe, questa sì, come un ingiusto vantaggio dato agli istituti privati,
si chiede di sapere:
come si giudichi il comportamento di insegnanti che, approfittando del ruolo, del prestigio e dell’ascendente anche affettivo che hanno nei confronti dei loro allievi, diffondono notizie false tra i discenti e li inducono o conducono, sulla base di esse, a unirsi a manifestazioni di parte;
se esista un qualsiasi atto di codesto Ministero che può aver generato le falsità che vengono diffuse da varie e incontrastate fonti di propaganda, oltre che da parecchi insegnanti e persino dall’Ufficio Relazioni con il Pubblico;
quali provvedimenti si intenda prendere nei confronti di dipendenti del Ministero che, nello svolgimento delle loro mansioni, diffondono falsità che arrecano grave danno alla istruzione pubblica e alle famiglie e strumentalizzano i discenti anche in tenerissima età;
in quale modo l’URP di codesto Ministero venga informato sui temi di maggiore interesse riguardanti il Ministero stesso, come si spieghi il fatto che tale ufficio dia notizie infondate e, in ogni caso, quali provvedimenti si intenda assumere per rimediare alla situazione;
come si spieghi che, in trenta minuti di continue chiamate a quattro numeri telefonici diversi, si ottengano solo due risposte con successiva interruzione della conversazione, oltre ad un’altra, non dell’URP, ma del centralino, e solo perché l’operatore aveva notato che la chiamata veniva dal Senato;
quanti siano gli addetti dell’URP a rispondere ai telefoni e se essi abbiano anche altre mansioni che giustifichino le mancate risposte;
quanti siano gli addetti dell’URP a rispondere ai messaggi di posta elettronica e se essi abbiano anche altre mansioni che giustifichino la totale mancanza di risposte;
come si ritenga di far conoscere la realtà sulla riforma della scuola, tenuto conto che è in atto una campagna di disinformazione mistificatoria in proposito.