I benefici passeggeri – oltre a instaurare un’ulteriore disuguaglianza tra dipendenti, non dipendenti e pensionati – determinano un buco di 9-10 miliardi. Già rilevato dai funzionari del Senato e dall’Unione Europea.
Intervento in Aula in Aula sul decreto competitività e giustizia sociale
Signora Presidente,
Il decreto-legge in esame è un decreto elettorale, e la cosa più onesta da fare una volta conseguito il risultato, il giorno dopo le elezioni – tanto più che gli effetti, dal punto di vista del ritorno elettorale, ci sono stati – sarebbe stata ritirarlo e poi scrivere qualcosa di serio. Invece, purtroppo, resta.
È stato detto che sarebbe stato strutturale. Lo stesso Presidente del Consiglio Renzi ha più volte detto che i famosi 80 euro sono strutturali, sono definitivi. Peccato che le carte scritte contano (per ora non basta la semplice proclamazione da parte del Presidente del Consiglio perché una cosa diventi vera) e il comma 3 dell’articolo 1 dice chiaramente che le disposizioni di cui al comma 1 (i famosi 80 euro) si applicano per il solo periodo di imposta 2014. Più chiaro di così? Le leggi, in generale (e questa, in particolare), sono spesso poco comprensibili, ma questa invece è chiarissima: è valida solo per il 2014.
Un’altra cosa certa è quella contenuta nell’articolo 50, comma 7, anche questa espressa con lodevole chiarezza: «al fine di reperire le risorse per assicurare la liquidità necessaria all’attuazione degli interventi del presente decreto, è autorizzata l’emissione di titoli di Stato per un importo fino a 40 miliardi di euro per l’anno 2014». Non è che prima non fosse previsto niente; era prevista una certa somma inferiore. Quindi ci sono due cose certe: i benefici sono passeggeri, sono realizzati in debito, mentre l’aumento delle imposte (numerose) – in parte già contenute nel decreto-legge, altre aggiunte nel corso dell’esame in Commissione quali l’aumento delle imposte sul risparmio, il concorso di questo provvedimento insieme ad altri ad aumentare le tasse sulla casa, l’aumento (sia pure sotto forma di rimodulazione) delle tasse sul passaporto, l’aumento delle tasse sui fondi pensione – è invece definitivo.
Quindi, per avere il beneficio degli 80 euro, solo per il 2014 e solo per qualcuno, sono state introdotte tasse strutturali, insieme alle quali naturalmente non poteva mancare una serie di adempimenti onerosi e gravosi a carico dei singoli cittadini, delle aziende e delle pubbliche amministrazioni.
Quando si impongono nuove pratiche e nuovi adempimenti da svolgere nelle pubbliche amministrazioni, si scrive sempre: «senza maggiori oneri». Certo, è senza maggiori oneri se non per il fatto che le pubbliche amministrazioni, che dovrebbero essere al servizio dei cittadini, devono passare il loro tempo a rendere servizi per fare fronte agli ulteriori lacci e laccioli, controlli, adempimenti, carte e per istituire commissioni, esperti, comitati e tavoli, anziché a rendere i servizi ai cittadini, per i quali sono pagati attraverso le imposte.
Tornando agli 80 euro, vale la pena di sottolineare alcuni aspetti. Nel titolo del provvedimento si parla di competitività e giustizia sociale. La competitività c’è solo in quell’accenno di riduzione dell’IRAP e non si va oltre. Quanto alla giustizia sociale, accade che, se una persona guadagna 20.000 euro, ha un credito d’imposta e, quindi, in pratica ha più soldi a disposizione, ma soltanto se è lavoratore dipendente; se è lavoratore autonomo – e pertanto non è assolutamente sicuro che quei 20.000 euro guadagnati vi siano anche l’anno prossimo – non ha alcun beneficio. Dunque, stesso reddito vorrebbe dire stessa tassazione, ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione secondo il quale ciascuno contribuisce secondo le proprie possibilità. Quindi, se si è lavoratore dipendente, si ha il beneficio; se, però, non si è lavoratore dipendente, non si ha il beneficio e quindi «ciao all’eguaglianza e alla contribuzione secondo le proprie possibilità». Se si ha sempre lo stesso reddito e si è pensionato, è uguale: niente, non si ha alcun beneficio.
Poi vi è il problema delle famiglie numerose, che è stato brillantemente risolto in Commissione con un emendamento (giustamente definito da un collega «ordine del giorno»), con il quale si è stabilito che dal 2015 vi saranno interventi a favore di tali famiglie. In realtà, non è stato assolutamente specificato quanto e, soprattutt,o come si copriranno le minori entrate per lo Stato. Innanzitutto, sottolineo che è una cosa talmente vaga da risultare meno vincolante di un ordine del giorno. Inoltre, è curioso, giacché si afferma che dal 2015 si daranno benefìci anche alle famiglie numerose anche se, in realtà, dal 1° gennaio 1015 non vi saranno neppure gli 80 euro e i benefici per le famiglie non numerose; se vi saranno, questi dovranno essere stabiliti con un altro provvedimento, che dovrà reperire le coperture. Poiché sono già esaurite anche le coperture di questo con l’aumento delle imposte sui risparmi e così via, occorrerà trovare ulteriori tasse. Pertanto, si afferma che quest’anno diamo i benefici solo ad alcune persone, ma l’anno prossimo li estenderemo ad altre, anche se a quel punto non vi saranno più per nessuno! In realtà, quell’ordine del giorno è un nonsense. In ogni caso, chi si accontenta gode: sottolineo, però, che ci si può accontentare politicamente, ma i cittadini non hanno alcun beneficio.
Nel provvedimento in esame vi sono altre perle. L’articolo 6, ad esempio, non è male. Ricordo che si tratta di un decreto elettorale, il cui scopo non era quello di rilanciare l’economia, ma quello di ottenere un buon risultato alle elezioni europee: questo risultato è stato sicuramente raggiunto da parte del principale partito di Governo. Sottolineo che è stato necessario fare una legge. Spesso si afferma che bisognerebbe fare meno leggi inutili. Ebbene, in questo provvedimento vi è un pomposo articolo, fatto per decreto perché di straordinaria necessità e urgenza (se non fosse di straordinaria necessità e urgenza, non si potrebbe emanare un decreto-legge), con il quale si stabilisce che il Governo presenta un rapporto alle Camere sulla lotta all’evasione fiscale. Allora, il Governo scrive un decreto, pretendendo che il Parlamento lo converta in legge, in cui obbliga se stesso a fare una cosa che, evidentemente, voleva fare. Ma, se il Governo vuole fare una relazione al Parlamento, perché non la fa? Non è certamente proibito al Governo mandarci qualunque tipo di documentazione utile ad informarci sull’attività di Governo. Il Governo non risponde alla stragrande maggioranza delle interrogazioni ma fa addirittura un decreto-legge per consentirsi la passerella (perché di questo si tratta) di un rapporto sulla lotta all’evasione fiscale. Ma qual è l’effetto pratico di questa misura? Nessuno, appunto, se non l’effetto passerella e la conseguenza che all’articolo 7 si può scrivere che, da queste mirabolanti strategie, si ricaveranno incalcolabili risorse dalla lotta all’evasione fiscale. In particolare, 300 milioni sono posti a copertura dei benefici elettorali previsti dal decreto stesso.
Ci sono poi altre perle come, per esempio, l’articolo 21, di forte impatto elettorale, che impone alla RAI di ridurre le spese. Ora, certamente vi sono i margini e vi sono degli ambiti in cui la RAI spende troppo. E, poiché la RAI pesa direttamente sulle tasche dei cittadini attraverso il canone, se la RAI dovrà spendere 150 milioni di euro in meno (tra l’altro, non si comprende come si attuerà questa riduzione di spesa in corso d’anno, anche perché non è solo alla RAI che si impone di ridurre le spese), si può fare il calcolo. Gli abbonati alla RAI sono un po’ più di 20 milioni e, quindi, dovrebbe esserci una riduzione del canone di 7 euro. È un bel risultato questo? No, perché la RAI spende sì di meno ma il cittadino spende sempre lo stesso e, per lui, il canone rimane sempre dello stesso ammontare.
Questo, quindi, era un altro proclama elettorale, utile poi ad avere le coperture per i famosi 80 euro. Coperture che l’ottimo personale e i funzionari del Servizio Studi del Senato hanno sottolineato essere insufficienti, vaghe, dubbie e, dunque, non idonee. Il Presidente del Consiglio ha accusato i suddetti funzionari di fare tali critiche per interesse personale e perché non gradiscono la non abolizione del Senato. È entrato proprio nel merito. Quei funzionari avanzavano dei rilievi tecnici ed egli li accusa di interessi personali. Per quanto mi riguarda, io ritengo che il Senato sia sempre in attesa di scuse da parte del Presidente del Consiglio, anche perché il rilievo fatto dagli ottimi funzionari del Servizio Studi del Senato è lo stesso poi avanzato dall’Unione europea. In questi giorni l’Unione europea, con tempestività, subito dopo le elezioni (per cui tutto torna), ha rilevato come l’insieme delle operazioni finanziarie ed economiche fatte dal Governo determini un buco tra i 9 e i 10 miliardi, che è esattamente, sia pure in modo più ampio e in modo globale, quello rilevato dai funzionari del Senato. Ora, è vero che la grande informazione ha di fatto censurato questa notizia, facendola passare addirittura come un incoraggiamento al Governo Renzi, ma è anche vero che l’Unione europea ha fatto le stesse affermazioni dei funzionari del Senato. Mi aspetto, dunque, in primis, le scuse da parte del Presidente del Consiglio al Senato in quanto tale e, in particolare, alle persone coinvolte. Oppure che il Presidente del Consiglio accusi anche gli organismi dell’Unione europea di avere degli interessi personali, per cui affermano che i suoi provvedimenti non sono coperti.
Concludo sottolineando che, per avere un beneficio incerto, che non rilancia i consumi, passeggero e solo per alcuni, questo provvedimento introduce tasse per tutti, permanenti e che causano una ulteriore crisi della nostra economia, come testimonia l’aumento della disoccupazione, che è arrivata a livelli record.