Sosteniamo il monitoraggio di tutte le situazioni che possono creare pericoli per la salute, ma non la chiusura per pregiudizio una Centrale che ha ridotto le emissioni dell’88%
Intervento in Aula in dichiarazione di voto sulla mozione riguardante la Centrale elettrica di Civitavecchia
Signor Presidente, Signora Sottosegretario, Onorevoli colleghi,
qualcuno potrà stupirsi per il fatto che il Senato abbia dedicato gran parte della seduta pomeridiana di ieri e gran parte di quella di questa mattina ad alcune questioni, la principale delle quali riguarda una centrale elettrica di una specifica Città. Sembrerebbe un problema locale ma così non è: non soltanto perché si inserisce nell’insieme delle problematiche legate alla produzione dell’energia elettrica ma, soprattutto, perché quella Centrale fornisce energia al 50 per cento del Lazio e il 4 per cento dell’energia prodotta a livello nazionale.
La produzione di energia elettrica nazionale già oggi non è sufficiente a coprire il fabbisogno, e quindi l’Italia, oltre a importare i prodotti fossili per la produzione di energia elettrica, importa anche l’energia elettrica già prodotta. Pertanto, una forte diminuzione o addirittura la chiusura di una Centrale non è una questione secondaria né locale, ma è una questione nazionale.
Fatta questa premessa, mi richiamo a quanto la senatrice Pelino ha molto ben evidenziato nell’illustrare la mozione n. 280. Noi abbiamo un approccio alla questione della Centrale di Civitavecchia – e, in generale, alle questioni energetiche – che tiene conto delle diverse esigenze che si manifestano per quanto riguarda la produzione di energia elettrica: ci vuole la sicurezza degli approvvigionamenti, occorre raggiungere gli obiettivi ambientali a tutela della salute delle persone e dell’ambiente, bisogna dare competitività alla nostra industria.
La tutela della salubrità dell’ambiente va fatta con osservazioni di carattere scientifico e non di carattere episodico, aneddotico o impressionistico. Dobbiamo avere la massima cura non soltanto nel fornire ai Cittadini una protezione nei confronti di eventuali agenti inquinanti o di situazioni dannose per la salute, non soltanto dobbiamo tutelare l’igienicità in sé di queste produzioni, ma bisogna anche dare certezze alla popolazione. Infatti, se un impianto è sicuro ma non ha questa certificazione e non vi sono gli asseveramenti scientifici che lo dichiarano sicuro, si determina una situazione di depressione economica in tutta l’area. Noi sappiamo che un Paese meno è prospero e meno difende l’ambiente. La difesa dell’ambiente comporta costi che devono essere sopportati dall’economia di quel Paese. Quindi, non si può vedere una cosa disgiuntamente dall’altra.
Questa è la ragione per cui chiediamo un monitoraggio non soltanto dei siti intorno a Civitavecchia ma di tutte quelle situazioni dove possono venire a crearsi pericoli per la salute dei residenti, ovvero presso tutte le zone ove vi è produzione di energia elettrica o, naturalmente, anche altri tipi di impianti. Alla luce di questo monitoraggio potranno essere prese decisioni specifiche, volte sicuramente a rimediare a situazioni di pericolo, però non possiamo partire con il proposito di chiudere una Centrale o di ridurne enormemente la produttività – intanto per la grande portata di energia elettrica che produce (ripeto, il 4 per cento della produzione elettrica nazionale), poi per il fatto che in questa Centrale sono stati investiti 2 miliardi. Tale Centrale comporta circa un migliaio di posti di lavoro e ha ridotto in modo estremamente significativo le emissioni: parliamo di una riduzione fino all’88 per cento delle emissioni di polveri e di anidride solforosa (inferiori del 50 per cento rispetto ai limiti previsti dalla legge). Altri interventi sono stati fatti per ridurre anche le emissioni di anidride carbonica. Insomma, al di là di vedere il carbone come un qualcosa di sporco e fuligginoso, bisogna pensare che non siamo più nella Glasgow dell’Ottocento, quando morirono centinaia di persone perché c’erano troppe stufe a carbone in giro. La combustione del carbone che c’è oggi è altra cosa: il carbone non entra mai a contatto con l’aria e, pertanto, ci sono margini di sicurezza che in certi casi sono superiori a certe vecchie Centrali che funzionano con il gas. Dunque, non si può avere un approccio di carattere pregiudiziale nei confronti di questo tipo di produzione di energia elettrica.
Voglio ricordare che la bassa competitività è il principale problema che i Cittadini ci chiedono di affrontare, perché questo fa che sì il nostro Paese abbia una disoccupazione molto più alta rispetto agli altri Paesi europei. Conosciamo i record che sono stati raggiunti ultimamente: 13,6 per cento di disoccupati (quasi 3,5 milioni), 46 per cento di disoccupazione giovanile. Certamente, tra gli elementi principali che li determinano vi è il costo dell’energia elettrica. Dei 28 Paesi dell’Unione europea, solo Cipro e Malta hanno un prezzo dell’energia elettrica per il consumo industriale superiore all’Italia, ma Cipro e Malta -rispetto agli oltre 500 milioni di abitanti dell’Unione europea -sono poca cosa: più o meno la metà degli abitanti della mia Provincia, quella di Torino. Tolti questi due Paesi davvero anomali, e certamente non grandi potenze industriali da poter essere considerati concorrenti dell’Italia in questo senso, il Paese che ha l’energia elettrica per uso industriale più cara dopo l’Italia è la Germania, che ha un prezzo inferiore del 15 per cento; poi c’è l’Irlanda, con un prezzo inferiore del 19 per cento, la Slovacchia del 23 per cento, la Spagna del 27 per cento, il Regno Unito del 30 per cento, fino ad arrivare a Paesi quali la Romania, che addirittura ha un prezzo dell’energia elettrica inferiore del 46 per cento rispetto all’Italia. D’altra parte, la Romania non è un Paese qualsiasi ma il posto dove moltissime aziende italiane – in particolare della mia Regione, il Piemonte – si sono trasferite. Una delle ragioni è questa. Certo, c’è il problema del costo del lavoro, ci sono altre questioni, ma il problema dell’energia elettrica è estremamente importante.
Leggo in alcune mozioni che si chiede un piano energetico nazionale. Ricordo che il referendum cosiddetto “sul nucleare”, che si è tenuto recentemente e che molte forze politiche rappresentate in quest’Aula hanno fortemente voluto approvare, non era sull’abolizione del nucleare in Italia (cosa che era già stata fatta con un provvedimento di legge precedente al referendum) ma era, per l’appunto, su un comma che prevedeva che l’Italia avesse un piano energetico nazionale. Il referendum ha voluto cancellarlo, poi le stesse forze politiche dicono che ci vuole un piano di produzione energetica: questo andrebbe ricordato. È vero: l’Italia ha bisogno di una politica energetica, però la politica energetica non può essere fatta con qualche colpo di propaganda o con un approccio ideologico. Va fatta tenendo presente che l’Italia è un grande Paese, con 60 milioni di abitanti che devono poter fruire di un approvvigionamento di energia elettrica affidabile e durevole, e non può imbarcarsi in avventure di immagine quando le stesse costano miliardi e miliardi al Contribuente: 9 miliardi all’anno costano gli incentivi a produzioni alternative di energia elettrica, tra cui il fotovoltaico. Va davvero fatta un’analisi per vedere se questi soldi non siano un enorme costo inutile a carico del Contribuente, un costo che – paradossalmente – non è calcolato nel totale della pressione fiscale mentre, di fatto, è parte della pressione fiscale.