La qualificazione di monumento nazionale per il campo di Servigliano ed è una questione estremamente appropriata

Signor Presidente, il disegno di legge in esame decide la qualificazione di monumento nazionale per il campo di Servigliano ed è una questione estremamente appropriata. Non per nulla ha raccolto la firma di tutti i Capigruppo e ovviamente anche della senatrice Bernini, Presidente del nostro Gruppo, e della senatrice a vita Liliana Segre.

È seriamente appropriato non soltanto perché c’è un collegamento importante e profondo con la questione dello sterminio degli ebrei – probabilmente il più grande orrore dello scorso secolo, il male assoluto, come è stato più volte e giustamente definito – ma anche perché tocca varie tragedie dello scorso secolo, fin dall’inizio, quando viene destinato a campo di prigionia per i prigionieri che l’Italia avrebbe catturato durante la Prima guerra mondiale. Anche questa è stata una tragedia, con decine di milioni di morti: “inutile strage” la definì il Pontefice di quell’epoca. Vennero prigionieri austroungarici, turchi e serbi; tra gli austroungarici c’erano anche dei futuri italiani, cioè persone nate in territori poi diventati italiani e che si sentivano in molti casi italiani (poi loro e i loro discendenti sono diventati italiani). Dopo c’è stato l’arrivo dei redenti, cioè di coloro che, pur non essendo stati prigionieri, provenivano dall’esercito austroungarico e sono stati naturalizzati italiani, alcuni con molto entusiasmo e piacere, altri probabilmente con meno entusiasmo; la pressione che c’è stata in quei periodi si è rispecchiata anche nel campo di Servigliano.

Dopo il periodo tra le due guerre, in cui l’uso fu meno importante, ridivenne un campo di prigionia per coloro che all’epoca erano i nemici dell’Italia, soprattutto i greci, per via di quella guerra che non fu particolarmente di successo per l’Italia (comunque qualche prigioniero greco fu fatto). Poi ci furono i prigionieri britannici e americani e anche qualche francese, che furono liberati o, meglio, riuscirono a fuggire in massa quando, pochi giorni dopo l’8 settembre (parrebbe il 20 settembre), capirono che stavano per arrivare le truppe tedesche. Essi trovarono molto spesso l’accoglienza della popolazione locale, tant’è vero che, tra le lapidi a ricordo dei fatti storici collegati a quel campo, ce n’è una di riconoscenza da parte di alcuni prigionieri alleati (britannici e americani) nei confronti della popolazione locale, per l’accoglienza che trovarono presso tante famiglie. Nel frattempo erano arrivati i tedeschi e la situazione era molto difficile; in ogni caso erano privi di sostentamento e non avevano cibo, ed era quella un’epoca in cui certamente il cibo non abbondava neppure per la popolazione locale, che però si prodigò ad aiutarli.

Con l’occupazione tedesca inizia il rastrellamento dei pochi ebrei di quell’area. Sembra che nel Piceno ci fossero circa 110 ebrei; di questi solo 17 riusciranno a sfuggire alla cattura e a non finire in questo o in quel campo di concentramento. La maggior parte di essi finì a Servigliano e da lì, a parte alcuni che riuscirono a fuggire grazie alle incursioni dei partigiani, diverse decine furono mandati ad Auschwitz.

Dieci furono uccisi il giorno stesso del loro arrivo – nell’ambito dell’orrenda ed infame selezione di coloro che non potevano essere usati come forza di lavoro venivano soppressi subito bambini, anziani e persone malate e gli altri morirono successivamente a causa delle condizioni terribili del campo. Una sola donna – come è stato già ricordato – Susanna Hauser, riuscì a sopravvivere.

Ma non finisce qui, perché dopo l’invio ad Auschwitz non c’erano più ebrei in quel campo e, quando quell’area venne in possesso delle forze alleate e anche dell’esercito di liberazione italiano – non dimentichiamolo – in quel campo furono addestrati i soldati dell’esercito polacco. Anche questa è una pagina straordinaria della storia italiana. L’Italia fu liberata, certamente, dai soldati britannici, americani e di altri Paesi (c’era anche la brigata ebraica, ad esempio), ma anche da alcuni soldati polacchi, soldati che venivano da un Paese oppresso, invaso, martoriato dai tedeschi, che sapevano che nel loro Paese era in corso l’invasione da parte dei soldati sovietici, determinati ad annichilire la loro Nazione, per cui, non potendo combattere direttamente per la libertà del loro Paese, combatterono per la nostra libertà e lì alcuni vennero addestrati.

Vennero anche alcuni profughi – certe fonti dicono croati, altre sloveni, ma indubbiamente provenivano da quella che poi divenne la Jugoslavia, che ora non esiste più come tale – verosimilmente profughi di etnia slovena e croata che erano stati sfollati a causa della guerra e che probabilmente erano di una fazione avversa rispetto ai titini che occupavano quelle terre.

L’altra grande pagina della nostra storia fu l’arrivo dei profughi giuliano-dalmati e istriani, che nel campo furono accolti, ma non dobbiamo e non possiamo dimenticare quello che avvenne nel passaggio di alcuni di essi. Alcuni forse stavano arrivando proprio a Servigliano ma, essendo il posto abbastanza piccolo, non sono stati tanti. Non possiamo però dimenticare che il Partito Comunista dell’epoca (la guerra era finita ormai da un paio d’anni) organizzò un orribile boicottaggio contro quei profughi che arrivavano per essere ospitati in altre parti d’Italia: a Bologna ci fu un assalto al treno contro quelle persone stremate, chiuse nei vagoni come prigionieri, e fu addirittura versato sui binari il latte destinato ai bambini che stavano soffrendo di disidratazione.

Arrivò quindi finalmente la chiusura di questo campo, che ora è stato denominato Parco della pace. Io direi Parco della pace e della memoria, per ricordare le tante tragedie del secolo scorso, che hanno avuto non una ma varie matrici ed evoluzioni. La speranza è che la memoria di quello che è stato eviti il ripetersi non solo di tragedie del genere, ma anche di ciò che le determina, e cioè l’odio per altre etnie e popolazioni, che non è assolutamente collegabile all’orgoglio per la propria Nazione. L’orgoglio per la propria Nazione non è assolutamente da collegare al disprezzo e all’odio per le altre. Le guerre che hanno funestato il nostro continente – il mondo in realtà, ma in particolare il nostro Paese – nello scorso secolo non vanno dimenticate. Le scuole, in particolare, che andranno in visita in questo che d’ora in poi sarà monumento nazionale, potranno avere sul posto l’immedesimazione anche visiva, non solo attraverso lo studio, nelle tragedie che hanno funestato il nostro passato ed è dovere di ciascuno fare tutto il possibile perché non si ripetano, neanche in forma minore, in futuro.

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