Risulta gravissimo che si riesca a cambiarla a sei mesi dal voto; se, invece, lo fa il centrosinistra a quattro mesi dal voto, ciò – naturalmente – va benissimo
Intervento in Aula nella discussione della legge elettorale
Signor Presidente,
mi è stato chiesto di rinunciare a intervenire. Ma non rinuncerò, per qualche breve appunto su questa legge di cui già molto si è detto la settimana scorsa: con una concezione un tantino, direi, proprietaria della Costituzione, si è detto che questa legge è incostituzionale per una variegata serie di motivi.
Il motivo principale consiste nel fatto che la modifica della legge elettorale la stiamo proponendo noi; questo è, in realtà, il principale motivo di presunta incostituzionalità. La parte politica che oggi rappresenta l’Opposizione, nella scorsa legislatura ha modificato la Costituzione con una maggioranza risicata e ha fatto carta straccia (a 54 giorni dalle elezioni regionali dunque, quando di fatto il processo elettorale era già ampiamente avviato) della legge sulla par condicio approvata ai tempi del Governo Ciampi. Mi sto riferendo proprio a quella legge n. 515 del 1993 alla quale, giustamente, si è appellato il senatore Angius poc’anzi in quanto era un’ottima legge; peccato sia stata distrutta dalla legge n. 28 del 22 febbraio del 2000, approvata dall’Ulivo a 54 giorni dalle elezioni regionali.
A proposito, poi, della riforma della legge elettorale, questa Opposizione ha tentato di riformarla in un modo – se vogliamo – molto più proporzionalistico, assolutamente non garante di una maggioranza definita né alla Camera né al Senato fino al 17 gennaio del 2001. Ricordo che, poiché questa legislatura è stata eletta 22 giorni dopo la data presunta, sarebbe come se noi dovessimo discutere un cambiamento della legge elettorale fino all’8 febbraio prossimo, mentre invece siamo già prossimi alla conclusione dell’esame. Naturalmente, però, risulta gravissimo che noi si tenti e si riesca di cambiare la legge elettorale a sei mesi dal voto; se, invece, lo fa il centrosinistra a quattro mesi dal voto, ciò – naturalmente – va benissimo.
Sempre in riferimento alla legge elettorale, vi è dell’altro – dal momento che l’attuale Opposizione ha tentato di cambiarla assai più tardi nel corso della legislatura. Con la versione sostenuta dal centrosinistra della legge sul conflitto di interessi, si tentava di mettere in atto il più brutale e ad personam degli interventi immaginabili sulla legge elettorale: impedire – perché si trattava di un impedimento totale, assoluto e rivolto ad una persona – a Silvio Berlusconi di presentarsi alle elezioni del 2001. Ricordo che, con il testo discusso fino a 74 giorni dalle elezioni nel corso della scorsa legislatura (attualmente, siamo a circa 180 giorni dalla fine della legislatura), cioè 40 giorni prima della presentazione delle candidature, si è tentato di introdurre una legge con la quale Silvio Berlusconi veniva esautorato dalla possibilità di ricoprire la carica di Presidente del Consiglio, ove mai avesse osato partecipare alle elezioni; in realtà, gli si impediva di presentarsi alle elezioni se non per rivestire, poi, il semplice ruolo di deputato.
In questa legge, infatti, si prevedeva che il soggetto in questione, la persona alla quale si rivolgeva questa legge non avrebbe potuto esercitare, anche per interposta persona, attività imprenditoriali private o ricoprire, comunque, incarichi di amministrazione o controllo in società italiane o estere. Il concetto di “interposta persona” avrebbe dato modo di accusare questa persona, che si voleva escludere dalle candidature, di violare la legge anche se avesse affidato la società a dei parenti o a persone che non lo fossero; avrebbe dovuto metterla nelle mani di una persona che fosse possibilmente un suo nemico, ma difficilmente qualcuno affida il proprio patrimonio a una persona nei confronti della quale non nutra fiducia. La proibizione di tenere il controllo gli avrebbe impedito di mantenere anche la proprietà della maggioranza delle azioni della sua società e naturalmente, poiché tale previsione si estendeva anche ai familiari, avrebbe dovuto sostanzialmente liberarsene; non solo, ma avrebbe dovuto liberarsene entro 45 giorni dall’entrata in carica. Com’è evidente, vendere qualcosa in 45 giorni, quando tutto il mondo sa che questo termine c’è, vuol dire svendere, regalare e distruggere una proprietà che, tra l’altro, dà lavoro a decine di migliaia di persone; ma vi si può passare benissimo sopra, pur quando si tratta di impedire al leader dell’allora opposizione di candidarsi a guidare il Governo. Oltre, naturalmente, all’obbligo successivo di svendere, erano previste multe da centinaia di miliardi, forse migliaia di miliardi, nel caso in cui la proprietà delle azioni superasse il 2 per cento.
Fatto questo, il patrimonio di tale persona avrebbe dovuto essere affidato a un gestore nominato dal Garante per la Concorrenza, nominata dall’Ulivo, nonché dal Presidente della CONSOB (all’epoca il professore Luigi Spaventa, già candidato contro Berlusconi nel collegio di Roma 1 nel 1994 e, per due legislature precedenti, deputato nelle liste del Partito Comunista degli anni 80). Allora Berlusconi avrebbe dovuto svendere le proprie aziende oppure darle in mano a un suo avversario politico. Tuttavia, per essere sicuri che Berlusconi non potesse presentarsi, quella legge – che il centrosinistra ha cercato di approvare fino a 74 giorni dalle scorse elezioni – prevedeva che, se le attività economiche delle aziende detenute da questo ipotetico membro del Governo si riferivano alla comunicazione di massa (guarda un po’ proprio il caso di Berlusconi, un vero caso fortuito), il gestore – cioè l’avversario politico di Berlusconi che sarebbe stato nominato a gestire la società – sarebbe stato multato fino all’un per cento del valore della società (parliamo di qualche centinaio di miliardi di vecchie lire) se la società gestita avesse mostrato di violare la par condicio, così come definita dalla legge bavaglio approvata dall’Ulivo nel 2000. In altre parole, i programmi televisivi e informativi delle televisioni di Mediaset avrebbero potuto tenere una qualche posizione politica o informativa purché non fosse in nessuno modo favorevole a Berlusconi.
Era meglio la dittatura del ventennio, che si limitava a sbiancare gli articoli ma non metteva in bancarotta i giornali se tentavano di pubblicare qualche articolo non gradito al regime. L’articolo 11 imponeva un gestore estraneo che avrebbe dovuto sorvegliare, insomma, che in nessun modo le società di Berlusconi sostenessero la sua politica – anche nel caso che la società fosse ceduta alla moglie, ai fratelli o ai figli o ad altra persona interposta allo scopo di eludere l’applicazione della stessa disciplina. Una legge di un’arbitrarietà che ricorda le gride manzoniane nella loro arbitrarietà e anche nella loro estrema severità, ma per la quale vi sarebbe stata l’intenzione – a differenza delle gride manzoniane – di applicare. Sostanzialmente, non avrebbe neppure potuto vendere le aziende neppure a un conoscente, perché altrimenti scattava l’accusa di interposta persona. Di conseguenza, avrebbe dovuto venderle a qualcuno che, verosimilmente, non è neppure nel mondo dell’imprenditoria o nel mondo della finanza. Difficilmente uno che non è imprenditore o non è finanziere può comprare un’azienda di qualche decina di migliaia di miliardi. Seguono altre chicche di questa legge. Ma, insomma, questa è la situazione.
Allora, se c’è un punto sul quale assolutamente non ci possono essere critiche, sono i tempi: siamo in anticipo. E non è una legge ad personam, non è una legge per un Partito o una coalizione ma una legge che prevede che una coalizione che prende anche solo un voto in più delle altre coalizioni, visto che sono due quelle che possono aspirare a governare, possa governare.
VALLONE (Mar-DL-U). In quale Camera?
MALAN (FI). Possa governare naturalmente alla Camera dei Deputati, perché al Senato, solo quando il senatore Vallone sarà riuscito a far modificare l’articolo 57 della Costituzione, sarà possibile garantire una maggioranza assoluta. In caso contrario, non si può sostenere che l’articolo 57 della Costituzione debba intendersi nel senso che non può esserci un premio di maggioranza nazionale e, contemporaneamente, rimproverare alla legge il fatto che non garantisce una maggioranza al Senato.
Nessuna legge ha mai garantito la maggioranza al Senato dal 1948 a oggi. La cosiddetta “legge truffa” – citata dal senatore Vallone, che ringrazio per avermi offerto lo spunto per concludere l’intervento – fu sostenuta da Alcide De Gasperi per dare governabilità al Paese. Ricordo che chi la definiva “legge truffa” era il Partito Comunista del 1953 nel mese di marzo di quell’anno. Quando quei Signori davano del truffatore ad Alcide De Gasperi, avevano ancora i fazzoletti bagnati di lacrime per la morte di Giuseppe Stalin, definito da “l’Unità” l’uomo che più di tutti ha operato per il progresso dell’umanità. Se si fa riferimento a quel periodo, devo dire che la scelta di campo è molto facile: tra De Gasperi e coloro che piangevano per la morte di Stalin, preferiamo certamente De Gasperi.