I ministri e i sottosegretari del Movimento 5 Stelle, avendo giurato fedeltà alla Costituzione, devono dissociarsi dalle parole di Beppe Grillo, garante del loro partito, contro il Parlamento. Oppure, se non credono più nel Parlamento, come l’ex comico genovese, si dimettano, pronti a ritornare sulle auto blu governative non appena sarà la piattaforma Rousseau a decidere quelle cariche. I ministri infatti rivestono il loro ruolo perché nominati dal Presidente della Repubblica, eletto dal detestato Parlamento, che poi ha loro anche votato la fiducia. Non si può essere fedeli alla Costituzione e contemporaneamente a chi ne vuole distruggere le fondamenta. La democrazia diretta l’abbiamo già vista all’opera in Piazza Venezia ai tempi di Mussolini dove l’acclamazione della folla approvò ‘direttamente’ anche l’entrata in guerra, l’abbiamo vista nei congressi del partito nazista a Norimberga dove i geometrici schieramenti dei partecipanti testimoniavano il consenso del popolo al suo capo, la vediamo tutt’ora in Cina dove il partito comunista che per definizione è il popolo designa i leader, e l’abbiamo vista anche esattamente tre anni fa nell’elezione di Luigi Di Maio a capo politico del M5S, quando l’attuale ministro degli esteri, onnipresente sui media, fu contrapposto a sette sconosciuti che ebbero poche ore e zero mezzi per fare conoscere se stessi e i loro programmi, fermo restando che il voto era gestito da una società privata senza alcun controllo. Dunque, ministri e sottosegretari facciano chiarezza: sono per la Costituzione democratica o per qualcos’altro? In particolare devono rispondere l’on. Federico D’Incà, perché è proprio ministro per i rapporti con il Parlamento e il senatore Vito Crimi, perché ha gli importanti ruoli di vice ministro dell’Interno e capo politico del M5S.