Per il Governo, vedere il Colosseo è un livello essenziale, essere pagati per il lavoro svolto no

Lo Stato se la prende con i lavoratori che esso stesso non paga da mesi

Intervento in Aula nella discussione del decreto-legge sulla fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione

“Signora Presidente, come la maggior parte o forse tutti i provvedimenti varati dal corrente Governo, abbiamo un bel titolo: «Misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione». Addirittura Nazione è scritto con la “N” maiuscola, un’espressione che sarebbe stata tacciata ed aggredita con gli aggettivi più pesanti pochi decenni fa, forse proprio da quella parte politica. Si tratta comunque, al di là di questa enfasi sulla Nazione, di un titolo pienamente condivisibile – come nel caso della maggiore parte dei provvedimenti.

Si pensi alla cosiddetta ‘Buona Scuola’ (chi è per la cattiva scuola?), oppure al provvedimento del ‘Jobs Act’ (in quel caso c’era un problema di lingua ma chi è contro il job, cioè i posti di lavoro?). Poi, a ben vedere, si apprezza con un certo stupore che un provvedimento che riguarda il diritto di sciopero, che va certamente regolamentato, come dice anche la Costituzione, viene intestato – intendiamoci, è un aspetto mediatico, ma anche nell’ordine delle firme – al ministro dei Beni Culturali. È molto curioso che lo sciopero, che sembrerebbe prerogativa del ministero del Lavoro, è invece dei Beni culturali. Questo perché tutto origina da un’improvvisa impossibilità di fruizione nientemeno che del Colosseo da parte dei numerosi turisti che vengono nel nostro Paese, in particolare nella Capitale.

Il Colosseo è una sorta di simbolo non soltanto di questa città ma, addirittura, a livello nazionale, per cui – naturalmente – tutti hanno manifestato sdegno unanime perché addirittura un’assemblea, occupando il tempo dei lavoratori che dovevano tenere aperto questo straordinario monumento, ha impedito ai turisti di visitarlo; ragion per cui tutti – immediatamente, istintivamente – ci schieriamo dalla parte di un provvedimento che eviti il ripetersi di simili accadimenti. Tuttavia, sarebbe interessante andare a vedere come mai c’è stata questa assemblea: non era precisamente immotivata, in quanto risulta che i lavoratori, nello scrupoloso rispetto delle norme, hanno deciso di chiedere un’assemblea perché da dieci mesi non venivano loro pagati gli straordinari.

Ora, se è vero che vedere il Colosseo (che si venga da Roma o da Tokio o da chissà dove) può essere qualificato come un livello essenziale – per cui è stato introdotto, in modo francamente strumentale, tra i livelli essenziali di assistenza insieme ai farmaci salvavita e ad altre cose di questo genere – è anche vero che essere pagati per il lavoro che si fa mi sembra un livello altrettanto essenziale, perché i mezzi con cui ogni famiglia si sostenta – salvo nei casi fortunati di patrimoni ingenti – vengono dal lavoro che i componenti di quella famiglia svolgono. Quando, poi, tali componenti della famiglia hanno più di una persona a carico, ci sono diverse persone che dipendono da una sola.

Siamo d’accordo che, bontà dei loro datori di lavoro, a questi lavoratori veniva corrisposto il mensile ma, siccome è stato chiesto loro di fare straordinari – non sono loro che lo fanno di loro iniziativa – sarebbe il minimo pagare il compenso per questi straordinari. Ebbene, alla luce del fatto che questi lavoratori non avevano ricevuto risposte né tantomeno i soldi, passato un mese e poi un altro ancora, in cui continuano a tenere aperto questo straordinario monumento alla fruizione del pubblico, un bel giorno, probabilmente nella speranza di non doverlo neanche fare, chiedono – con sei giorni di anticipo anziché i tre previsti dalla legge – di poter fare un’assemblea specificandone il motivo. Non arriva alcuna risposta e dopo questi sei giorni l’assemblea si tiene e delle persone stanno fuori dal Colosseo. Ebbene, a me pare che la responsabilità di questa chiusura del Colosseo per una mezza giornata in quella determinata circostanza sia addebitabile non ai lavoratori ma a chi non li paga.

Agli stessi turisti venuti lì e indubbiamente rimasti molto delusi – magari era l’unica mezza giornata che avevano per poter vedere questo straordinario monumento – se si fosse spiegato perché quei lavoratori scioperavano, forse sarebbero stati un po’ meno delusi, o magari altrettanto delusi ma avrebbero cambiato l’oggetto del loro disappunto; perché loro stessi, se hanno potuto permettersi un viaggio (lungo o corto che fosse) per venire a Roma, è perché quando lavorano vengono pagati. Sarebbe, quindi, giusto pagare chi fa gli straordinari – che sia al Colosseo o in una fabbrica di qualunque tipo, che sia all’anagrafe o alla ferrovia – perché quando uno lavora deve essere pagato. È un principio abbastanza elementare; non c’è bisogno di una grande evoluzione.
Anche il libro del Deuteronomio ricorda questo diritto e pone la scadenza del pagamento al tramonto. Ora ci siamo evoluti, non si paga più a giornata ma a mese: ritengo però che si potrebbe arrivare ad effettuare il pagamento entro un mese o al massimo entro il mese seguente. Dieci mesi per un pagamento mi sembrano davvero troppi.

Dunque, la cosa è stata raccolta dai media, forse in modo strumentale – cosa che non mi stupirebbe, anche se i media fanno comunque il loro mestiere e le loro scelte – e si è deciso di intervenire, non per ricordare che i lavoratori hanno diritto ad essere pagati, ma per ricordare che i lavoratori non devono riunirsi in assemblea se garantiscono la fruizione di un bene archeologico, culturale e così via. Francamente, affrontare i problemi in questo modo mi sembra del tutto pretestuoso, di inutile e stucchevole spettacolarità.

Il problema c’è; ed esiste anche, sicuramente, il problema di certi scioperi che vengono fatti in modo irragionevole, e magari di certe assemblee che vengono convocate in modo non condivisibile: bisogna però occuparsi di tutto il settore. Di fronte a lavoratori che si riuniscono in assemblea perché non li si paga, può anche starci un provvedimento ma, a quel punto, che essi tengano aperto il Colosseo, una biblioteca, l’ufficio anagrafe o l’ufficio tributi direi che cambia poco. Dall’altra parte, però, ci vorrebbe una norma stringente, che imponga determinati pagamenti.

Ho letto anche che questi lavoratori, a cui non veniva corrisposto il pagamento degli straordinari, non erano pagati direttamente dallo Stato ma da una cooperativa, la quale – da altrettanti mesi – non riceveva nulla dall’ente pubblico che avrebbe dovuto pagarla. Abbiamo in pratica lo Stato che, essendo colpevole di non aver pagato la cooperativa, che a sua volta avrebbe dovuto pagare i lavoratori, se la prende con i lavoratori stessi. È un compendio di Stato che si fa giustizia da sé, di quello Stato descritto da sant’Agostino secondo cui, quando lo Stato si comporta come i pirati – che nella fattispecie avevano rapito Giulio Cesare – non c’è differenza tra lo Stato e i pirati se non che lo Stato è più forte.

È giusto affrontare la tematica del diritto di sciopero e del suo esercizio, la cui regolamentazione è prevista dalla stessa Costituzione, ma non si può fare né con decreto-legge – agire sul diritto di sciopero per decreto-legge è faccenda spettacolare, ma assai contraria alla Costituzione – né in modo settoriale (molti credono che il provvedimento riguardi solo il Colosseo, ma riguarda in generale la fruizione di cultura) e inserendo pretestuosamente la fruizione dei beni artistici tra i livelli essenziali delle prestazioni. Lo Stato taglia i fondi alla Sanità, non paga le aziende private – nonostante i numerosi proclami, continuano ad esserci decine di miliardi di euro di pagamenti che le pubbliche amministrazioni devono ai privati e che esse continuano a non pagare – e tale settore è ancora più essenziale della fruizione del Colosseo. Lo stesso Stato, però, poi approva le leggi contro i lavoratori che – pensate un po’, colleghi – non venendo pagati, sono così cattivi e riottosi da convocarsi in assemblea.

Di fronte a questi fatti, possiamo vedere le conseguenze di una spettacolarizzazione della Politica e anche della smargiassata politica, che si inserisce nella stessa serie del Presidente del Consiglio che dice che si divertirà a parlare con i rappresentanti delle Regioni, che lamentano di dover tagliare – loro sì – i livelli essenziali di assistenza se la legge di stabilità non verrà modificata.

Il Presidente del Consiglio si diverte, ma credo che gli Italiani si divertano di meno”.

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