Piccoli Comuni: fondi risibili, zero risparmi, blocchi di ogni tipo e una burocrazia spaventosa

Intervento in Aula sul disegno di legge per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni

Signora Presidente,

questo provvedimento avrà un ampio voto a favore anche da parte del Gruppo di Forza Italia. Siamo arrivati al punto che non si può neanche dire che questa legge sarà sempre meglio di niente, perché siamo già con il segno “meno” per quanto riguarda la considerazione dei piccoli Comuni negli ultimi anni. Poiché tutto ciò che è stato fatto contro i piccoli Comuni non lo cancelleremo certamente bocciando questa legge, e dal momento che essa riconosce il problema e almeno una somma risibile – davvero risibile, ma poi ci tornerò – la stanzia, bocciare questa legge, i cui articoli sono in gran parte perfettamente inutili, vorrebbe dire eliminare quel piccolo riconoscimento di cui all’articolo 1 del provvedimento e quei pochi fondi previsti all’articolo 3.

In realtà, dire che tali fondi sono pochi è ancora essere ottimisti. Ho sentito parlare di 100 milioni: è verissimo, è il totale. Su sette anni ci sono 100 milioni ma ricordiamoci che, di solito, le misurazioni su quanto stanzia lo Stato si fanno su un anno, per cui si tratta di meno di 15 milioni all’anno, il che significa meno di 2.200 euro all’anno per ciascun Comune. Se calcoliamo che ogni immigrato che arriva con i barconi costa allo Stato, una volta arrivato e salvo spese straordinarie, 2.200 euro al mese, vuol dire che un immigrato vale quanto 12 piccoli Comuni ai sensi di questa legge. Ma, come dicevo, sono sempre meglio 15 milioni all’anno che niente, anche se siamo molto vicini al nulla.

Faccio un altro paragone. Il Fondo di solidarietà fra i Comuni, bizzarra istituzione, fa sì che i Comuni virtuosi debbano tirare fuori dei soldi per i Comuni non virtuosi. Un Comune che ha di più – probabilmente perché è amministrato meglio, oltre che per più fortunate circostanze socio-economiche – mette a disposizione delle risorse a favore dei Comuni che hanno incassato di meno. Ma, dei 4,7 miliardi che costituiscono questo Fondo, 400 milioni se li è tenuti lo Stato. Quindi, dalle risorse del fondo di solidarietà tra i Comuni (quello al quale le Comunità locali, attraverso i sindaci, versano risorse allo Stato per aiutare gli altri piccoli Comuni) 400 milioni li prende lo Stato, che poi, con questa legge, versa 15 milioni all’anno ai piccoli Comuni. Non so se rendo l’idea di quali dimensioni stiamo parlando.

Sulla questione dei piccoli Comuni c’è stato un gran parlare. «Bisogna ridurre gli sprechi!». Ricordo al Movimento 5 Stelle che nel suo programma del 2013 – quello con il quale sono stati eletti i colleghi presenti al Senato e, naturalmente, anche nell’altro ramo del Parlamento – comprendeva l’accorpamento dei Comuni sotto i 5mila abitanti perché, a quanto pare, i Comuni sotto i 5mila abitanti sono uno spreco. Poi, però, se si va a vedere la realtà – non la retorica e non ciò che vogliono far passare i mezzi di informazione – scopriamo che, per legge (perché non è una facoltà), i Comuni tutti, dal più grande al più piccolo, devono fornire una serie di servizi ai cittadini.

Se parlassimo di aziende, effettivamente, per l’economia di scala, dovremmo immaginare che i Comuni grandi forniscano servizi a costo inferiore. Per una duplice ragione: perché sono più grandi (è la famosa economia di scala) e perché hanno, nella grande maggioranza, un territorio più semplice da governare. Per fornire un servizio a 100mila milanesi, a 100mila romani, a 100mila torinesi, vi è un territorio – intanto pianeggiante (forse a Roma un po’ di meno) – dove 100mila cittadini si trovano in un ambito ristrettissimo, addirittura in poche centinaia di metri. Invece, i Comuni che hanno mille o anche meno abitanti, hanno un’economia di scala inferiore e gli abitanti sono molto più sparpagliati sul territorio – spesso montano o insulare – o vivono in campagna, con comunicazioni più difficili. Questa dovrebbe essere la realtà – e, infatti, su questa certezza del tutto teorica si basa il principio che bisogna massacrare i piccoli Comuni, obbligarli a unirsi e mettere loro blocchi di ogni tipo, come ad esempio i blocchi delle assunzioni misurate sui grandi Comuni. La previsione generale è che, per ogni cinque dipendenti che vanno in pensione, almeno uno possa essere sostituito. Devono, però, essere andati tutti in pensione nello stesso anno. Questo vuol dire che un grande Comune, per ogni cinque pensionati, effettivamente può assumerne uno nuovo. Ma per i piccoli Comuni, che in gran parte hanno meno di cinque dipendenti (molti non ne hanno che uno), quando mai si verificherà la circostanza per cui cinque dipendenti vanno in pensione e se ne può così assumere un altro?

Abbiamo posto questo problema tante volte ma ci è stato detto dal relatore del Partito Democratico: “È vero che il problema c’è, ma così spingiamo i Comuni ad accorparsi”. Poi, però, dai dati vediamo che la media più alta della spesa per fornire servizi, nelle varie classi di popolazione, è proprio quella dei Comuni sopra i 250mila abitanti. Questi, per fornire servizi di spettanza dei Comuni, spendono circa 1.578 euro pro capite, mentre la media generale è di 938 euro. Ma guarda un po’: sono i Comuni più grandi quelli che spendono di più. Al secondo posto per spesa elevata – e, dunque, per cattiva gestione o, comunque, per maggiori costi nel fornire questi servizi – vi sono i Comuni fra i 60mila e i 250mila abitanti, cioè la seconda fascia più alta per popolazione dove, comunque, siamo ancora sopra la media. I Comuni sotto i 60mila abitanti mediamente hanno costi inferiori. I Comuni sotto i 5mila abitanti, che hanno tutte le difficoltà che ho descritto prima (pochi abitanti sparpagliati su un territorio esteso, per cui nessuna economia di scala e notevoli disagi territoriali), sono ben sotto la media: circa il 10 per cento sotto la media di spesa. Ma, allora, come mai bisogna massacrare i piccoli Comuni? Da qualche anno, ai grandi mezzi di informazione e ai Partiti politici che li seguono piace accorpare, uniformare e omologare. Questo alla faccia dell’articolo 5 della Costituzione che vanta che l’Italia è una e indivisibile ma che lo Stato promuove, nell’ambito delle sue competenze, il più ampio decentramento amministrativo. Poi, però, sono arrivate, nonostante quell’articolo 5 che dal 1948 non è mai cambiato, alcune leggi che hanno fatto esattamente il contrario, senza neppure realizzare risparmi di spesa.

La soppressione di tanti tribunali e uffici giudiziari ha aumentato le spese per i piccoli Comuni. Poiché, infatti, difficilmente (ovviamente, lo dico con ironia) un piccolo Comune diventerà Capoluogo di Provincia, le spese sono aumentate perché le distanze sono maggiori. E il risparmio è stato pari allo zero assoluto. Si era promesso un risparmio vicino allo zero, di 80 milioni in tre anni, ma il risparmio è stato zero. Se ne è accorto anche il Partito Democratico che aveva nel suo programma del 2013 il ripristino di alcuni tribunali, elencati per nome (cito quello di Pinerolo perché si trova nella mia Regione, ma ve ne erano altri). Tutti gli emendamenti da me presentati – che riproducevano, parola per parola, il programma del Partito Democratico – hanno ricevuto parere contrario e sono stati respinti dalla maggioranza di quest’Assemblea. Poi, però, si fa la leggina dei piccoli Comuni.

La legge Delrio ha massacrato le Comunità locali: avendo reso le Province un ente disarticolato, senza risorse e lontano dai cittadini, ha scoraggiato perfino gli unici a cui è rimasto il diritto di votare alle elezioni provinciali – cioè i sindaci e i consiglieri comunali; ha tolto perfino a loro la voglia di andare a votare, perché in molte Province abbiamo riscontrato un’affluenza alle urne intorno al 50 per cento. E parliamo dei consiglieri comunali, ossia persone profondamente coinvolte nella vita amministrativa locale.

Per quanto riguarda l’accorpamento delle funzioni, abbiamo presentato – l’ho fatto io personalmente – molti emendamenti per rinviare l’accorpamento obbligatorio delle funzioni dei Comuni, perché l’obbligo è assurdo: se c’è convenienza, i Comuni prima o poi lo fanno; se non lo vogliono fare, vi sarà anche una qualche ragione, visto che riescono ad avere costi inferiori a quelli dei grandi Comuni che dovrebbero prendere ad esempio. Eppure, dopo aver ottenuto un paio di proroghe, la norma è entrata in vigore.

Il risultato è che la stessa burocrazia che grava sui grandi Comuni grava sui piccoli Comuni, con l’aggiunta di un problema: una volta che il Comune ha i soldi e ha ricevuto tutte le autorizzazioni di questo mondo, non può sostenere una spesa perché deve fare la trafila attraverso l’Unione dei Comuni e deve far percorrere ad amministratori locali – ricordo che lavorano generalmente gratis, perdendoci – decine di chilometri in automobile per partecipare alle riunioni (e parliamo di territori molto grandi) per approvare una spesa.

Mi riferisco, poi, alle leggi sulla Consip, che obbligano un Comune di montagna a rifornirsi nel grande emporio vicino alle città, perché magari lì una matita costa 20 centesimi di meno. E quante volte ci siamo visti respingere gli emendamenti che prevedevano che, se si fosse speso di meno, potesse essere consentito ai Comuni di rifornirsi al di fuori della Consip? Poi abbiamo capito il grande amore per la Consip, leggendo i giornali e le inchieste su di essa della Magistratura. Per la riduzione dei centri di spesa vale sempre lo stesso criterio. Credo sia importante ridurre la spesa e non i centri di spesa, specialmente in un Paese in cui l’articolo 5 della Costituzione parla del più ampio decentramento amministrativo.

Concludo dicendo cosa servirebbe ai piccoli Comuni e che non costa niente – anzi, sarebbe un risparmio per lo Stato: meno burocrazia. Se parlate con i sindaci, vi diranno che, negli ultimi cinque anni, il lavoro per fare le stesse cose che si facevano in passato è aumentato del 30-40 per cento: 30-40 per cento di lavoro in più per fare le stesse cose di cinque anni fa. Il tutto avviene – come dicono le leggi – senza maggiori spese. Certo, ma ciò vuol dire che puoi offrire meno servizi ai cittadini: non spendi di più ma dai meno servizi ai cittadini.

Bisognerebbe abolire – come richiesto tante volte – una serie di adempimenti che già sono inutili per i grandi Comuni – figurarsi per i piccoli – come la relazione di inizio e di fine mandato, il DUP (documento unico di programmazione), i piani anticorruzione (consistono nel ruotare gli incarichi per i dipendenti e, quando un Comune ha un solo dipendente, deve fare una lunga relazione in cui deve spiegare come mai non ha fatto la rotazione degli incarichi), i piani della trasparenza, i piani delle performances e altre cose. Si tratta di adempimenti burocratici incentrati sui grandi Comuni, che per i piccoli Comuni rappresentano un onere spaventoso e che colpisce non i sindaci, gli assessori o i consiglieri, ma la popolazione. Colpisce i cittadini che hanno la stessa dignità degli abitanti delle metropoli che ci vogliono portare a esempio e che spendono il doppio per fare le stesse cose.

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