Politica ambientale – quattro problemi: costi e limiti quantitativi delle fonti rinnovabili, fondamentalismo ideologico e grandi Paesi “non allineati”

“Sì” all’efficienza energetica, “no” a un pauperismo utopistico e inconcludente. “Sì” a un approccio scientifico, “no” a un atteggiamento catastrofistico

Intervento in Aula per dichiarazione di voto su una mozione concernente la politica ambientale

Signor Presidente,

la questione del cambiamento climatico e la sua gestione sta diventando uno dei punti principali della politica nazionale e internazionale. Il modo in cui l’Italia affronterà questo problema avrà, perciò, importanti conseguenze per il nostro futuro. Desidero dare merito al presidente Matteoli di aver suscitato il dibattito di oggi con la presentazione della mozione di cui è primo firmatario e a favore della quale preannuncio fin d’ora il voto favorevole di Forza Italia.

Va, innanzitutto, chiarito che anche le più aggiornate conoscenze scientifiche, pur avvalendosi dei più avanzati strumenti di rilevazione e calcolo previsionale, offrono ben poche certezze sulle cause e sulla possibile evoluzione del riscaldamento climatico. Tra le certezze vi è il forte incremento nell’ultimo quarto di millennio della presenza di anidride carbonica nell’atmosfera e l’aumento della temperatura al suolo di circa tre quarti di grado nell’ultimo secolo. È anche certo che le attività umane immettono nell’atmosfera massicce quantità di anidride carbonica, ma grande incertezza vi è su quanto l’incremento dell’anidride carbonica sia dovuto al fattore umano, su quanto questo influenzi la temperatura e, soprattutto, su quanto potrà avvenire nel corso dei prossimi decenni e fino al 2100.

Sappiamo, infatti, che i mutamenti climatici sono stati numerosi sul nostro pianeta: ogni studente o ex studente sa o dovrebbe sapere che, solo negli ultimi 500.000 anni (una piccola frazione nella storia della vita sulla Terra), vi sono state quattro grandi glaciazioni. È meno noto che vi sono stati anche diversi periodi di decine di migliaia di anni in cui la temperatura è stata superiore a quella attuale, come del resto è accaduto per parecchi secoli intorno al 5000 e al 2000 avanti Cristo e ancora dopo l’anno 1000. Molteplici le cause e difficilmente individuabili e isolabili: dai numerosi moti del nostro pianeta alle variazioni nell’attività solare e vulcanica o nella quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, che è ancora oggi al 96 per cento di origine naturale.

Il principale presupposto del Protocollo di Kyoto per la limitazione dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera è perciò il principio di precauzione rispetto ai possibili danni di un prevedibile ulteriore aumento di queste immissioni. Accanto al principio di precauzione, vi sono altri elementi, assolutamente certi, che ci spingono a una particolare attenzione alla politica energetica.

L’Italia dipende in larga parte da fonti energetiche non rinnovabili, importate da aree politicamente problematiche o da Paesi che proprio negli ultimi anni hanno mostrato di usare la fornitura di energia come arma di pressione politica. Ogni riduzione percentuale dell’uso di queste fonti, che generano una grande quantità di CO2, è un beneficio certo per la nostra bilancia commerciale e la nostra sicurezza energetica.

Noi sosteniamo, infatti, fortemente il risparmio energetico, a condizione che sia attuato nell’ottica dell’efficienza e non di un pauperismo utopistico e inconcludente; sosteniamo la promozione e lo sviluppo di fonti rinnovabili, tenendo conto dei limiti di molte di esse; sosteniamo gli impianti di produzione di calore mediante energia solare e la cogenerazione. Auspichiamo, inoltre, una migliore informazione sulle possibilità offerte in questo campo dalla tecnologia e dagli incentivi pubblici.

Il risparmio e l’efficienza energetica, che vanno promossi in generale, per la Pubblica Amministrazione diventano poi un dovere, poiché gli sprechi in questo campo riguardano il denaro richiesto al Contribuente, con tributi anche molto pesanti, specie sotto questo Governo. Non è perciò tollerabile vedere edifici pubblici tenuti a temperature tropicali d’inverno o siberiane d’estate, oppure riscaldati anche durante i periodi di chiusura o mal coibentati, con le finestre spalancate durante la stagione fredda o per incuria o perché sovra-riscaldati.

La stessa cosa accade anche in estate quando, anziché regolare meglio i condizionatori d’aria, vengono spalancate le finestre – anche perché molti non sanno che il condizionamento migliora anche la qualità, oltre alla temperatura, dell’aria. Su questo, la Pubblica Amministrazione dovrebbe anche dare il buon esempio, a cominciare dalle scuole e dagli edifici delle principali istituzioni, inclusa questa. Sappiamo che su questo ci sono grandi margini di miglioramento.

Vanno anche introdotte norme che incoraggino una maggiore efficienza nei condomini, incentivando o concedendo maggiore libertà ai singoli. Si sarà fatto un grande passo avanti nel settore pubblico, quando si mostrerà e applicherà la stessa cura che ogni famiglia responsabile pratica a casa propria, tra l’altro ampliando l’uso dei termostati, che in molti edifici pubblici sembrano ancora sconosciuti.

Anche le piccole cose servono, e siamo tutti chiamati, come singoli cittadini, a fare la nostra parte. Ma, come politici, non dobbiamo dimenticare le grandi dimensioni della questione e i suoi aspetti più difficili.

Un primo problema è quello dei costi. L’energia proveniente da fonti rinnovabili ha costi molto più alti rispetto a quella proveniente dal petrolio o dal metano. L’energia solare ed eolica funzionano, evidentemente, solo quando ci sono il sole e il vento, cioè in periodi limitati e non prevedibili. A queste produzioni vanno, perciò, affiancati impianti di altro tipo, pronti a entrare in funzione quando non c’è sole o non c’è vento ma che hanno costi anche quando sono fermi – e questo va tenuto nel debito conto.

Secondo problema: i limiti quantitativi. Per quanti sforzi si facciano, le energie rinnovabili non potranno soddisfare che una parte minoritaria del nostro fabbisogno energetico. I risparmi potranno dare risultati importanti ma non oltre certi limiti. Il richiamo a stili di vita più sobri ha un valore più che altro morale. Quella di un mondo felice che dimentica, o quasi, le automobili, le macchine e la velocità di spostamento è un’utopia che si rispecchia in un passato, dove la popolazione era dieci volte inferiore a oggi, la stragrande maggioranza dell’umanità giaceva nella miseria, nell’incertezza e in condizioni di lavoro e di vita tali per cui si viveva in media un terzo rispetto a oggi. I ricordi idilliaci di quelle epoche ci vengono da una minoranza di privilegiati che potevano permettersi di evitare e disprezzare il lavoro stremante dei campi, che toccava alla quasi totalità dell’umanità.

Il terzo problema è chi dice “no” a tutto. L’adesione al Protocollo di Kyoto e le norme dell’Unione Europea impongono limiti all’uso di carburanti fossili, e questo fatto è di per sé estremamente gravoso. A questo peso, per l’Italia si aggiunge il grave handicap di scelte avvenute in passato, quali la rinuncia all’energia nucleare – un’energia del tutto priva di emissioni di anidride carbonica, della quale si avvale la maggior parte dei Paesi europei a cominciare da Francia e Germania – nostri vicini e amici ma anche, soprattutto, concorrenti. Sappiamo poi quali furibonde opposizioni vengano suscitate quando si tratta di costruire centrali elettriche di qualsiasi tipo, incluse quelle idroelettriche – l’energia pulita e rinnovabile per eccellenza – per non parlare dei termovalorizzatori che, in parte significativa (generalmente il 50 per cento), sono alimentati da biomasse rinnovabili, oltre a costituire un modo efficace di smaltire i rifiuti. Ma non basta: gli stessi soggetti dicono “no” a opere come il collegamento ferroviario Torino-Lione, che potrebbe spostare su rotaia molto traffico stradale che, come noto, è grande emettitore di anidride carbonica.

Con questa politica si va certamente verso il declino, e con dubbi e scarsi risultati dal punto di vista delle emissioni di gas a “effetto serra”. Se davvero si vuole fare una politica efficace in questo settore, occorre dire basta ai fondamentalismi ideologici e, ad esempio, tornare a valutare l’opzione nucleare, la cui tecnologia e sicurezza ha fatto passi da gigante da quando fu abbandonata a seguito di un referendum che, in sé, non prevedeva affatto la sua cancellazione.

Il quarto problema è il fatto che le limitazioni del Protocollo di Kyoto coinvolgono solo una parte dei Paesi di questo pianeta. Gli Stati Uniti, primo Paese per emissione di CO2, hanno ritenuto di non aderire, pur avendo messo in atto alcune misure che vanno nella stessa direzione. Diverso è il discorso della Cina che, secondo le più recenti stime, starebbe per superare gli Stati Uniti in questa classifica: la Cina è stata esentata da ogni limite per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica e la stessa cosa vale per l’India, il Brasile e altri Paesi che, in genere, hanno assai poco riguardo per i rischi ambientali. Le istituzioni europee, che chiedono un grande sforzo ai cittadini e alle imprese per soddisfare gli impegni del Protocollo di Kyoto, hanno perciò il dovere verso i propri cittadini di usare ogni mezzo per far condividere il peso anche a Paesi che sono ormai grandi potenze economiche e nostri spietati concorrenti nella competizione globale.

Di fronte a tutto questo, esprimo, a nome del Gruppo di Forza Italia, il voto a favore della mozione del presidente Matteoli, anche in continuità con la politica da lui messa in atto come Ministro dell’Ambiente nel Governo Berlusconi.

Sottolineo un ultimo fatto: di fronte a questo problema non si può avere un approccio catastrofista o impressionistico ma occorre un approccio scientifico, che non dia per verità assolute le opinioni di una parte della cosiddetta comunità scientifica che, in realtà, è un luogo dove c’è ampio dibattito.

In ultimo luogo, ricordiamo che il principio di precauzione ispira il Protocollo di Kyoto e va applicato anche nei confronti di misure così onerose da essere esse stesse un pericolo e, dunque, anch’esse vanno affrontate con precauzione e buon senso.

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