Proprio perché vogliamo che l’Unione europea sia più forte, non possiamo trascurare i problemi che emergono

I 491 milioni di cittadini percepiscono le istituzioni europee e le norme da loro assunte come qualcosa di estraneo, che poco dipende dal consenso e dalla volontà popolare

Intervento in Aula nella discussione sulla ratifica e l’esecuzione del Trattato di Lisbona

Signor Presidente,

il processo di integrazione europeo è un fenomeno senza precedenti nella Storia. I precedenti di entità statuali che rinunciano pacificamente a parte della propria sovranità per creare una forma di unione più ampia sono rari, e si tratta più di tentativi falliti che di successi. Tra i successi, potremmo citarne pochissimi. Fra questi la Svizzera, Confederazione dal 1291 e poi Federazione dal 1848, e gli Stati Uniti d’America, nati anch’essi confederali nel 1776 e rapidamente divenuti Unione nel 1787. Ma, se guardiamo alle dimensioni e alla Storia di questi due precedenti, osserviamo che si tratta di poche migliaia di persone nel primo caso e di pochi milioni nel secondo, e di entità dalla storia molto breve.

Oggi parliamo, invece, di un’Unione europea di 491 milioni di cittadini di 27 Stati dalle radici storiche lunghe secoli e millenni. Secoli e millenni in cui vi sono state centinaia di guerre reciproche, le più sanguinose delle quali hanno avuto luogo proprio negli ultimi 100 anni. Non ci dobbiamo, perciò, stupire delle difficoltà che si incontrano in questo cammino: dobbiamo invece essere orgogliosi di quanto è stato fatto finora. In pochi decenni, si è passati dalle guerre più feroci alla pace stabile, all’apertura e poi all’abolizione delle frontiere. Quasi la metà dei 27 Paesi membri erano dittature al momento della nascita dell’Unione europea, mentre oggi sono solide democrazie integrate fra di loro. Dobbiamo, però, anche sapere che c’è ancora molto da fare, che non mancano i problemi – evidenziati peraltro dall’esito dei referendum, sia quelli francese e olandese di qualche anno fa, sia quello irlandese di qualche settimana fa.

Il Trattato di Lisbona fa certamente dei passi in avanti, menzionando – sia pure timidamente – le eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, includendo la Carta dei diritti fondamentali, elaborata nel 2000 e poi integrata nel 2007, introducendo un meccanismo di sussidiarietà rafforzata a difesa delle prerogative degli Stati membri e sforzandosi, inoltre, di rendere più efficaci i meccanismi decisionali. Per questo l’Italia lo ha sostenuto, e per questo il Popolo delle Libertà voterà compattamente per la ratifica del Trattato di Lisbona.

Vogliamo che questa straordinaria esperienza vada avanti, che sia efficace e che colga sempre più successi, particolarmente in quei settori in cui gli Stati nazionali non hanno più una forza sufficiente nel panorama internazionale di oggi. E proprio perché vogliamo che l’Unione europea sia più forte, non possiamo trascurare i problemi che emergono, testimoniati non soltanto dall’esito di alcuni referendum, ma anche dalla bassa – e a volte bassissima – affluenza alle urne, che caratterizza nella gran parte dei Paesi membri le elezioni per il Parlamento europeo. Evidentemente, la struttura delle istituzioni europee è tale, ed è talmente indiretto il suffragio popolare, la volontà popolare, rispetto alle decisioni prese per quanto riguarda le norme europee, che i cittadini la percepiscono come qualcosa di estraneo a sé.

Ci sono altri problemi, come ad esempio norme che non solo vengono assunte in sedi che difficilmente il cittadino percepisce come frutto del proprio consenso e della propria volontà, ma che spesso sono così difficili da conoscere persino nelle loro linee generali, da generare certamente un atteggiamento non positivo da parte dei cittadini. C’è una Banca Centrale Europea che usa la sua autonomia in modo francamente discutibile, tenendo tassi molto più alti di quanto accade nei Paesi con i quali poi i produttori europei si trovano a competere, e ciò per combattere un’inflazione che, evidentemente, è in gran parte dovuta a un aumento planetario delle materie prime – su cui difficilmente l’aumento del tasso dell’euro può avere un’influenza.

Ci sono, perciò, aspetti anche in questo Trattato che possono generare una certa perplessità. Mi riferisco, per esempio, alla parte in cui si parla dell’ambiente, nella quale vengono date per scontate alcune concezioni scientificamente assai discutibili, dicendo addirittura che “l’Unione europea si oppone ai cambiamenti climatici” – speriamo non a quelli tra estate e inverno o a quelli tra il giorno e la notte!

Credo che l’Unione europea debba sforzarsi di guardare più avanti e di essere più vicina ai cittadini perché, altrimenti, il grande sforzo che è stato fatto in questi decenni rischia di naufragare anche di fronte a ostacoli francamente superabili come i referendum di Paesi autorevoli, che pur non dovrebbero certamente fermare questo processo di integrazione.

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