Il senatore Malan fa notare che la promotrice delle unioni civili, che aprono all’utero in affitto, da delegata per il Comune di Roma prese un provvedimento per il diritto dei cuccioli a non essere strappati dalle madri
di Federico Cenci
Erano gli anni di inizio millennio. La Giunta comunale di Roma era quella di centro-sinistra guidata da Walter Veltroni. Nella sua squadra amministrativa, con delega dell’Ufficio Diritti degli animali, c’era una certa Monica Cirinnà. Fervida ambientalista e animalista, l’attuale Senatrice ricorda con fierezza quell’esperienza in Campidoglio. Tra i risultati ottenuti, rivendica in particolare sul suo sito che, nel 2005, è “riuscita a dare alla Città, per la prima volta, il Regolamento capitolino per la tutela degli animali, votato all’unanimità in Consiglio comunale e ancora vigente”.
L’articolo 8 di questo Regolamento, intitolato Maltrattamento di animali, al comma 6 dice: “È vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita, se non per gravi motivazioni certificate da un medico veterinario”. Ne deriva che, a Roma, se il proprietario di una cagnolina appena diventata mamma volesse regalare uno o più cuccioli a un’altra persona, dovrebbe aspettare almeno 60 giorni dalla data del parto. Una misura, questa, adottata per non recidere quel legame d’affetto che si instaura tra mamma e cuccioli. Per non esercitare una violenza emotiva nei confronti di quelli che la Cirinnà definisce “cittadini non umani”.
Ed è curioso che sia proprio lei la promotrice di questo Regolamento, la stessa persona che ha apportato la sua firma in calce al ddl sulle unioni civili che inizierà domani in Senato l’iter parlamentare. Il nesso tra i due provvedimenti l’ha evidenziato lo scorso 28 gennaio il senatore Lucio Malan, nel corso di un intervento in Aula per illustrare la pregiudiziale sulle unioni civili. Egli ha sottolineato che quella misura di Roma Capitale è stata evidentemente presa perché “è ritenuta una barbarie separare un gattino o un cagnolino da sua madre”. Ma allora – si è chiesto con riferimento alla stepchild adoption – non è atroce, a maggior ragione, separare subito il bambino da sua madre come avviene con l’utero in affitto?
C’è dunque un’incoerenza di fondo nella Cirinnà, che da senatrice si batte oggi per l’approvazione di una legge che priverebbe i bambini di quel diritto di cui lei stessa, nel caso dei cuccioli, si era fatta propugnatrice quand’era amministratrice comunale. Eppure, la stessa senatrice del PD potrebbe difendersi da questa accusa di incoerenza che le ha mosso il suo collega di Forza Italia spiegando che, nel ddl sulle unioni civili, non c’è alcuna esplicita approvazione dell’utero in affitto. Il quale è vietato in Italia e punito finanche con il carcere dalla legge 40.
Difesa che lo stesso Malan, contattato telefonicamente da ZENIT, tuttavia respinge. “Molti di quei bambini, in mano alle coppie dello stesso sesso, come sono nati se non attraverso la pratica dell’utero in affitto?”, si domanda Malan. Che aggiunge: “Basta vedere i casi celebri, come quello di Elton John oppure di un noto senatore (Lo Giudice, ndr) che ha avuto un figlio con l’utero in affitto negli Stati Uniti e che ha potuto portarlo in Italia senza che nessuno arrestasse né lui né il suo compagno”.
“Questa è la testimonianza – aggiunge Malan – che il fatto che l’utero in affitto sia già proibito è del tutto ininfluente” e che il ddl Cirinnà sarebbe “un’incentivazione” nei confronti di questa pratica. Pratica contro la quale si scaglia la moltitudine di manifestanti che sabato scorso ha affollato il Circo Massimo di Roma. Tra costoro, insieme a diversi altri politici, c’era anche lo stesso Malan. Il quale si spinge in un pronostico velatamente ottimistico, dal suo punto di vista, riguardo l’iter parlamentare del ddl Cirinnà. “Se veramente – dice – il PD intende differenziare questo ddl dal matrimonio, allora dovremmo assistere al voto contrario del M5S. Se invece il ddl dovesse rimanere sostanzialmente invariato, non lo dovrebbe votare una parte importante del PD – sempre che questa parte decida di votare secondo coscienza e non secondo gli ordini del ducetto toscano”. E, su quest’ultima considerazione, un po’ di quell’ottimismo di Malan sembra sfumare.