Dobbiamo avere tutti una visione più ampia di quella che si limita alla contingenza politica di oggi, perché lo scopo è quello di migliorare il funzionamento delle istituzioni, per rendere un vero servizio ai Cittadini
Intervento in Aula, come primo firmatario del disegno di legge sull’introduzione della forma di Governo del Primo Ministro, nel dibattito sulle riforme istituzionali
Signor Presidente, Signor rappresentante del Governo, Colleghi senatori,
le riforme istituzionali vanno discusse avendo sempre chiaro in mente che il loro fine deve essere quello di rispondere meglio alle esigenze, alle aspettative e alle richieste dei Cittadini. L’intera architettura istituzionale poggia, infatti, sulla pietra angolare costituita dal secondo comma del primo articolo della nostra Carta fondamentale: «La sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Nell’accingerci, dunque, a porre mano alla Costituzione, dobbiamo avere nei nostri cuori risolutezza e umiltà: la risolutezza che deriva dalla convinzione che l’Italia meriti istituzioni adeguate al grande Paese che è diventata e ai tempi in cui viviamo; l’umiltà che discende dal fatto che questa Costituzione ha retto per più di mezzo secolo il nostro Paese – dalla ricostruzione dopo la guerra, alla conquista del rango di quinta potenza industriale. Dobbiamo, perciò, pensare che almeno altrettanto dovrebbe durare la nuova forma che daremo alle nostre istituzioni – cioè assai più di quanto durerà la presenza nelle istituzioni stesse della maggior parte di noi. Dobbiamo avere tutti una visione assai più ampia di quella che si limita alla contingenza politica di oggi.
L’esigenza di un Esecutivo che governi con efficacia e di un’Opposizione che abbia peso e spazi adeguati non va, perciò, vista come di questa o quella parte – a meno che noi, della Maggioranza, non pensiamo che i Cittadini ci abbiano votato una volta per tutte o l’Opposizione ritenga di non essere più in grado, in futuro, di ottenere la fiducia degli elettori. Nessuno, quindi, in Parlamento può sottrarsi non solo al diritto ma anche al dovere di dare il proprio contributo per migliorare le istituzioni del nostro Paese, nell’interesse dei Cittadini. Di qui la particolare necessità di confrontare le proprie convinzioni con quelle degli altri. In proposito, voglio sottolineare il mio profondo rispetto per le altre soluzioni proposte, in particolare quelle che tendono, pur con strumenti diversi, ai medesimi fini cui tende il disegno di legge che mi accingo a illustrare come primo firmatario – a cominciare da quella del presidenzialismo alla francese, che resta un’opzione forte di Forza Italia e della Casa delle libertà.
Di cosa ha bisogno oggi il nostro Paese dalle istituzioni, con particolare riguardo alla forma di Governo? Principalmente, di tre cose. La prima: che il Popolo sovrano possa scegliere in modo chiaro chi lo governerà, e cioè chi guiderà il Governo, la coalizione che lo sosterrà e il programma che quel Governo e quella coalizione intendono realizzare. La seconda: che quel Governo, scelto dagli elettori, duri – possibilmente – per i cinque anni della legislatura; non per un astratto amore della stabilità ma perché, in quei cinque anni, ci sia il tempo di realizzare, o tentare compiutamente di realizzare, il programma sul quale è stato ottenuto il voto. Un ruolo rafforzato del Governo e del suo Capo è necessario anche perché, nel periodo assegnato, abbia non solo il tempo ma anche gli strumenti per agire e realizzare, per trasformare il programma elettorale in concreta azione politica. La terza: che, a fronte di un Esecutivo rafforzato, non vengano a mancare le garanzie e i contrappesi adeguati, rappresentati dalle altre istituzioni. Il disegno di legge – che ho presentato insieme ai colleghi Scarabosio, Pianetta, Chirilli, Fabbri e Falcier, e che reca “Norme per l’introduzione della forma di Governo del Primo Ministro” – risponde a queste esigenze con interventi limitati sul testo costituzionale, modificando tre articoli e aggiungendone uno nuovo.
Esso si propone di dare una nuova denominazione al Capo del Governo: non più, dunque, Presidente del Consiglio, ma Primo Ministro, coerentemente con il ruolo rafforzato che la proposta gli dà. Attualmente, il Presidente del Consiglio è un primus inter pares, ruolo assai diverso da quello che hanno i suoi colleghi degli altri Paesi europei. Per consentire agli elettori di scegliere con chiarezza chi governerà (la prima esigenza che ho menzionato), partiamo dall’esperienza fatta nelle ultime tre elezioni politiche, avvenute con il nuovo sistema elettorale prevalentemente maggioritario e, comunque, bipolare. Già nel 1994, una delle coalizioni – quella che risultò vincente – aveva indicato, non senza riserve di Partiti che formavano la coalizione stessa, il candidato alla Presidenza del Consiglio. Nel 1996, entrambe le coalizioni in lista lo fecero in modo esplicito. Ciò avvenne ancora nel 2001, quando addirittura entrambe le coalizioni inserirono – sia pur surrettiziamente – il nome del candidato nella scheda elettorale, includendolo nel contrassegno della coalizione. Noi proponiamo che questo venga riconosciuto e inserito nella Costituzione, prevedendo che la candidatura alla carica di Primo Ministro avvenga mediante il collegamento con i candidati alle elezioni delle Camere e che la legge elettorale assicuri la pubblicazione del nome del candidato sulla scheda elettorale. In questo modo, ogni elettore, in ogni collegio, potrà scegliere con chiarezza il nome del Primo Ministro, avrà chiara la posizione in merito del singolo candidato a senatore o deputato e avrà il quadro completo di come si articolano le coalizioni. Riteniamo che non si debba più verificare che coalizioni affrettate, desistenze e altri sortilegi elettorali costituiscano un inganno sostanziale nei confronti degli elettori. Riteniamo ci debba essere certezza su chi andrà a comporre la coalizione di Governo, su chi sarà dentro e su chi sarà fuori. Come il consumatore ha il diritto di conoscere gli ingredienti di un prodotto che acquista, così l’elettore deve sapere chi compone la coalizione che andrà a governare. Al riguardo, c’è un’esigenza di simmetrie e di equilibrio con altre istituzioni. È ormai dal 1993, infatti, che gli elettori eleggono direttamente il sindaco e il presidente della Provincia ed è dal 1995 che eleggono direttamente il presidente della Regione. In uno Stato che sempre più va valorizzando Regioni, Province e Comuni, è bene che la stessa investitura popolare, la stessa investitura elettorale sia riservata anche al Capo del Governo. È vero che, nei sistemi definiti «di premierato», non sempre c’è sulla scheda l’indicazione del candidato a Primo Ministro – come avviene, ad esempio, in Gran Bretagna – ma si tratta di altri sistemi. In Gran Bretagna c’è un sostanziale bipartitismo, per cui è chiaro a tutti gli elettori che risulterà Primo Ministro il leader di uno dei due Partiti in lizza per le elezioni. L’indicazione del Capo del Governo da parte degli elettori implica, naturalmente, che il Presidente della Repubblica sia vincolato nella sua nomina. Anche questo è già di fatto avvenuto in passato. Mi riferisco nuovamente a quanto avvenuto dopo le ultime tre elezioni (1994, 1996 e 2001). Prevediamo inoltre, al quarto comma del nuovo articolo 92 della Costituzione, che qualora non sia possibile formare, sulla base dei risultati delle elezioni parlamentari, un Governo che abbia la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica, sentiti i loro Presidenti, sciolga le Camere stesse. Possiamo dire che questo è un incentivo per rafforzare in senso bipolare, maggioritario, la legge elettorale e comunque per garantire la governabilità. Tuttavia, rimane operante questa garanzia per il funzionamento delle istituzioni.
Per rispondere alla seconda esigenza che ho menzionato prima, quella della stabilità e della capacità di agire concretamente dei Governi, proponiamo alcune misure.
La prima è la facoltà di nomina e di revoca dei Ministri, affidata al Primo Ministro coerentemente con il fatto che egli stesso è responsabile davanti agli elettori dell’operato del Governo. Questo servirebbe, tra l’altro, a evitare l’istituto – in qualche modo introdotto – della sfiducia individuale da parte della Maggioranza stessa, strumento estremamente controverso e certamente lacerante in qualunque situazione. Anche in questo caso, si tratterebbe di uniformare i poteri del Capo del Governo a quelli dei presidenti di Regioni e Province, nonché dei sindaci, che già da tempo possono nominare e revocare gli assessori.
Ma lo strumento più importante che proponiamo, a tutela della stabilità del Governo, è quello previsto in due commi aggiuntivi all’articolo 94 della Costituzione: la possibilità, cioè, per il Primo Ministro di proporre lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che emana il conseguente decreto. Desidero sottolineare, poiché è importante, che la proposta di scioglimento è da intendersi vincolante, come ben si deduce dal testo stesso. Ove non lo fosse, evidentemente nulla o quasi nulla risulterebbe mutato rispetto a oggi. Come ha sostenuto il professor Ceccanti, tutta la riforma, ove questa proposta non fosse vincolante, senza questo elemento risulterebbe un mero lifting sovrastrutturale. Lo scioglimento in mano al Primo Ministro è un potere di deterrenza contro i possibili fattori di destabilizzazione interni alla Maggioranza. Il suo scopo non è quello di sciogliere il Parlamento, ma di non scioglierlo e di garantirne il funzionamento, scoraggiando manovre di destabilizzazione della Maggioranza e determinando Governi di legislatura. Potrei dire che, con questa norma, le rotture delle coalizioni vincenti nelle elezioni del 1994 e del 1996 non sarebbero avvenute, ma non lo dico, perché ritengo che l’indicazione precisa del nome del Primo Ministro e della sua coalizione avrebbero dato luogo a patti chiari immediati per cui le coalizioni o non si sarebbero formate per nulla o, probabilmente, sarebbero durate più a lungo. In ogni caso, rimane questo importante fattore di garanzia. Anche qui si tratta di dare al Primo Ministro lo stesso potere che hanno i presidenti regionali e provinciali e i sindaci, pur prevedendo la nostra proposta maggiore flessibilità rispetto alle norme vigenti per Regioni, Province e Comuni laddove la decadenza del presidente o del sindaco determina automaticamente lo scioglimento del rispettivo consiglio e nuove elezioni. Noi lasciamo invece operante, come è oggi, la possibilità per il Presidente della Repubblica di nominare un nuovo Primo Ministro ove, per qualsiasi ragione, venga a mancare quello precedente, ma con il vincolo, coerente con l’indicazione da parte degli elettori del candidato a Capo del Governo, che ci sia il rispetto del mandato del corpo elettorale. In particolare, in caso di sfiducia votata nei confronti del Governo, il nostro disegno di legge – come quelli dei colleghi Tonini e D’Amico (e di questa consonanza, come di altre, sono estremamente lieto) – prevede che il Primo Ministro abbia alcuni giorni per decidere se proporre e ottenere lo scioglimento delle Camere oppure dimettersi. Si tratta di una soluzione che può garantire maggiore continuità. In particolare, si prevede – con l’ulteriore comma aggiunto all’articolo 94, che verrebbe a essere il settimo – che, in caso di dimissioni, il Primo Ministro non possa essere nuovamente nominato a tale carica, né ad altre cariche di Governo. È una garanzia questa, per un verso nei confronti del Parlamento, per un altro nei confronti del Governo. Infatti, un Primo Ministro che, sfiduciato dal Parlamento, fosse nuovamente nominato a tale carica, svuoterebbe di significato l’importante istituto della sfiducia parlamentare. Qualora, invece, il Primo Ministro aspirasse a essere nominato ad altre cariche di Governo (ad esempio, a un Ministero importante), il mandato degli elettori, i quali hanno votato una coalizione ma anche un Primo Ministro, verrebbe sostanzialmente disatteso. Se la fiducia da parte del Parlamento cade nei confronti del Primo Ministro, questo deve essere sostituito e non semplicemente messo in un altro ruolo dove possa continuare a operare e, di conseguenza, prestarsi a eventuali cambi di Governo non concordati con gli elettori.
Veniamo alla terza esigenza che ho prima citato – quella delle garanzie e dei contrappesi, cui ascriviamo grande importanza. Il nostro disegno di legge introduce al riguardo un nuovo articolo della Costituzione, il 95-bis, che istituisce il ruolo del Capo dell’Opposizione. Si demandano ai Regolamenti delle Camere le modalità della sua elezione e i suoi poteri, con particolare riferimento alla formazione dell’ordine del giorno. Siamo certamente disponibili a discutere degli altri, poiché riteniamo che ciò sia opportuno e coerente con un rafforzamento del ruolo del Governo. La riforma che proponiamo implica, infatti, che siano gli elettori a scegliere chi è Maggioranza, e dunque governa, e chi è Minoranza, e dunque ha il ruolo di controllo del Governo; proprio per questo assegna al Parlamento un ruolo forse addirittura rafforzato, affinché si sviluppi un’opportuna dialettica fra le due parti, fatti chiari i ruoli di Maggioranza e Opposizione.
L’unico potere che questa riforma toglie al Parlamento è quello di dar vita a Governi contrari al volere degli elettori; resta sempre la possibilità per il Parlamento di far cadere il Primo Ministro e il Governo, benché indicati direttamente dagli elettori, ma solo se chi lo fa è disposto ad andare di fronte al giudizio degli elettori attraverso elezioni anticipate. Ove le ragioni per cui si è fatto cadere il Governo siano state di basso livello e di basso profilo, probabilmente gli elettori bocceranno chi ha determinato la caduta del Governo, ma potranno premiare chi invece lo fa per buone ragioni, chi lo fa nell’interesse del Paese.
E veniamo al ruolo del Presidente della Repubblica. Il nostro disegno di legge non tocca neppure in una virgola le prerogative di garanzia del Presidente della Repubblica previste dall’articolo 87 della Costituzione. Ne limita invece il potere per quanto riguarda lo scioglimento delle Camere, abrogando l’articolo 88 della Costituzione e vincolandolo al rispetto della volontà degli elettori, dando anzi al Primo Ministro la possibilità di chiedere in modo vincolante lo scioglimento stesso. Io ritengo che la funzione di garanzia del Capo dello Stato verrebbe addirittura rafforzata da questa riforma, proprio perché egli sarebbe privato del potere di scioglimento – squisitamente politico. Il potere di scioglimento è, infatti, uno strumento di deterrenza nei confronti delle fibrillazioni di una Maggioranza e comporta pertanto l’esercizio di un potere politico. Il fatto di averlo attribuito al Presidente della Repubblica lo ha costretto ad esporsi nella contesa politica, rischiando di comprometterne il ruolo di garante super partes. Non vi sarebbe niente di più politico di un Capo dello Stato che facesse da sponda a pezzi riottosi della Maggioranza, di qualunque Maggioranza, contro il Primo Ministro in carica. La stessa cosa avverrebbe se la firma presidenziale del decreto di scioglimento proposto dal Primo Ministro si configurasse come un atto discrezionale anziché come un atto dovuto. Rendendo questo potere di carattere politico prerogativa sostanziale del Primo Ministro, il ruolo super partes del Presidente della Repubblica si caratterizzerebbe maggiormente come tale, mentre sarebbe aggiunto alla figura del Capo dello Stato il ruolo di garante degli elettori – il vero motore, cioè, della democrazia.
Rilevo con soddisfazione che le linee che ho esposto coincidono in molti punti con proposte presentate dall’Opposizione. Io sono certo che possa svilupparsi un dialogo per perfezionare le nostre proposte e andare avanti con queste riforme, avendo sempre ben chiaro il loro scopo: migliorare il funzionamento delle istituzioni del nostro Paese per rendere un servizio ai Cittadini.