NO alle riforme truffa di M5S & Co.

Signor Presidente, nonostante il tentativo che abbiamo portato avanti questa mattina volto a rinviare il voto in un momento più congruo, si decide di votare per una riforma niente meno che costituzionale, che da gennaio era stata approvata in Commissione e che da luglio scorso era stata approvata dalla Camera, dopo otto mesi, proprio nell’ultima seduta di votazioni, prima di un referendum che riguarda – guarda caso – il Senato e la Camera. Per cui si cerca di fare confusione, si cerca di indurre gli elettori a votare per una cosa diversa da quella che è. Come ha detto molto bene stamattina il senatore Gasparri, ci si mette dentro anche un voto finto sulla legge elettorale, senza che la maggioranza abbia una minima idea di quale legge potrà venir fuori. La realtà è che potrà venire fuori qualunque legge, ivi inclusa quella già in vigore che è stata già cambiata in occasione della votazione in parallelo alla riforma costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari.

Ebbene oggi votiamo senza sapere quanti saranno i senatori, però vogliamo ampliare il numero di coloro che potranno votare per il Senato. Vorrei illustrare qualche numero: nel 1948, contrariamente a quanto qualche cialtrone afferma, i Padri costituenti non stabilirono un numero di deputati e senatori più basso di quello attuale…

Essi stabilirono, in realtà, un numero che, alla luce delle dinamiche demografiche, peraltro anche prevedibili, oggi darebbe il risultato di una Camera composta da 753 deputati e un Senato composto da 301 senatori. Qualcuno vuol far credere che, in realtà, ne avevano stabiliti di meno. Stabilirono invece, nel 1947 – con entrata in vigore nel 1948 – che vi fosse un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000 abitanti. Dunque nel 1948, visto che abitanti ed elettori sono una cosa diversa e all’epoca la maggiore età si raggiungeva a ventuno anni e per il Senato si votava a venticinque anni, così come prevede la Costituzione oggi vigente, 26 milioni di elettori votarono per 237 senatori: c’erano cioè 9,2 senatori ogni milione di elettori. Poi nel 1963 ci fu la riforma che mise un limite al numero dei parlamentari e lo stabilì in 630 deputati – altrimenti, come detto, oggi sarebbero 753 – e in 315 senatori. Così 31 milioni di aventi diritto al voto votarono per 315 senatori, con un rapporto di 10,2 senatori ogni milione di elettori.

La popolazione italiana è poi aumentata ed è stata abbassata la maggiore età e di conseguenza è aumentato l’elettorato della Camera dei deputati, ma non quello del Senato. Dunque, da 10,2 senatori per ogni milione di aventi diritto, nel 1963, si è poi scesi a 9 nel 1976, a 8 nel 1983 e nel 2018 ci sono stati 6,7 senatori per ogni milione di abitanti. Ora, mentre molti di voi hanno votato la riduzione dei senatori da 315 eleggibili a 200, senza sapere ancora se questa riforma passerà volete aggiungere altri 4 milioni di elettori, facendo scendere, con i due provvedimenti, il numero di senatori per milione di abitanti a 3,9, cioè poco più di un terzo di quelli stabiliti dalla Costituzione e anche poco più di un terzo di quelli stabiliti nel 1963. Questo sarebbe il concetto di democrazia? Ovvero: meno ce n’è e meglio è? D’altra parte, lo testimoniano insigni partiti: c’è un partito, il MoVimento 5 Stelle, che fa i suoi manifesti e i suoi memi, da diffondere sui social media, definendo “parassiti” o, nella migliore delle ipotesi, “poltrone” i parlamentari che, secondo la Costituzione, sono i rappresentanti del popolo. Mi spiegate come si fa a distinguere il parassita dal parlamentare utile? Se sono parassiti i 345 che volete mandare a casa, sono parassiti tutti e quindi siete parassiti anche voi. Effettivamente qualcuno che non si merita lo stipendio c’è (Applausi), ma il popolo italiano merita la democrazia. Pensare dunque di ridurre a meno della metà, a poco più di un terzo, il numero dei senatori per milione di abitanti, o rispetto al totale della popolazione elettorale, non mi sembra una buona idea.

In più, come è stato giustamente sottolineato da molti, andiamo verso un bicameralismo veramente perfetto. Intanto si equipara il corpo elettorale e in Commissione è stato approvato un emendamento che equipara anche l’elettorato passivo. Dunque non c’è differenza fra le due Camere, alla faccia degli elettori italiani, che si sono espressi anche su impulso, ad esempio, della passata campagna referendaria. I colleghi del MoVimento 5 Stelle sono stati grandi nella campagna referendaria del 2016, hanno fatto una bellissima campagna – l’abbiamo fatta insieme – contro la riforma sostanzialmente monocameralista di Renzi, Boschi, eccetera. Adesso, colleghi, andate in direzione del monocameralismo, perché nel momento in cui si equipara l’elettorato attivo e l’elettorato passivo, tra un po’ ci si chiederà perché tenere due Camere: lasciamone una e poi facciamo in modo di spogliarla delle restanti facoltà (Applausi), visto che, al posto dei disegni di legge si approvano i decreti-legge, anche quando non c’è nessuna urgenza, e quando arriva l’urgenza vera si approvano i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che sono incostituzionali! (Applausi). Intanto la Costituzione prima la si rispetta e poi magari si possono cambiare le regole. Prima si risponde alle interrogazioni nei tempi previsti dal nostro Regolamento. Io credo che siano pochi in quest’Aula a sapere – io stesso, che pure ho un po’ di esperienza, ho dovuto consultare nuovamente il Regolamento – che alle interrogazioni per Regolamento il Governo dovrebbe rispondere entro venti giorni; non alle interrogazioni che sceglie lui, non a quelle che sono sollecitate, pregate, invocate e minacciate. No, a tutte. Risponde il Governo? No. (Applausi).

Anche i Governi precedenti avevano gravi carenze nella risposta alle interrogazioni; ma i Governi precedenti non facevano i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri al posto dei decreti-legge, non volevano falcidiare il Parlamento e nessun ideologo dei partiti dei Governi precedenti ha mai detto, come ha detto Casaleggio, che il Parlamento andrà superato e abolito. Questo ci preoccupa. Cominciate a rispondere alle interrogazioni. Il Presidente del Consiglio dei ministri, che sta facendo una delle sue interminabili conferenze stampa (purtroppo non possiamo seguirla e dunque non sappiamo le cose che dice agli altri perché dobbiamo andare avanti con l’esame dei provvedimenti), non ci dice una cosa sui famosi banchi di scuola, che sono bellissimi: quanto sono stati pagati e da chi sono stati comprati? (Applausi). Sono stati comprati da ditte fantasma di Ostia? Adesso dicono di no, dicono che il contratto è stato annullato. Sono stati comprati dalla Cina, da altri prestanomi, da gente che fa le creste dell’80 per cento? Quel contratto, che poi ci hanno raccontato essere stato annullato, comporta dei banchi acquistati a 247,78 euro. Li trovate in modo facilissimo su Internet; su Amazon, su Alibaba, su Taobao li trovate anche a 26 euro l’uno. Prendiamo il più caro: non vogliamo il banco da 26 euro, vogliamo il banco da 92,55 euro, che è quello più caro che trovate. (Applausi). Sapete quant’è lo spreco su due milioni e mezzo di banchi? 360 milioni di euro, cioè l’equivalente di sei anni del presunto risparmio per il taglio e l'”amputazione” della democrazia e della rappresentanza democratica! (Applausi).

Il Governo risponda allora ai cittadini; ai diciottenni che andranno su quei banchi forse interessa di più sapere dove sono stati comprati e a quanto i banchi su cui si siederanno che votare con una legislatura di anticipo al Senato. Queste sono le cose serie; ma purtroppo si viene meno alle cose serie per fare gli spot. Se si vuol fare allora una riforma costituzionale seria, la si fa tutta insieme; l’ha fatta la maggioranza di centrodestra nel 2003-2005 e l’ha fatta la maggioranza guidata dal Partito Democratico di Renzi. Gli italiani hanno detto no, con il 62 per cento, la prima volta e no con il 60 per cento, la volta successiva. Adesso si prende un pezzo solo di quelle riforme, quasi identiche, pensando che gli italiani questa volta se lo mangino e se lo digeriscano. Non funziona così, perché, se anche funziona, lo squilibrio che si crea nelle istituzioni poi rischia di arrivare nelle piazze.

Io preferisco allora qualche discussione in più e qualche ora persa (che in realtà non è tale) in più al Senato per discutere. «Conoscere per deliberare» diceva qualcuno, forse un tantino più saggio di chi fa queste riforme. Ebbene, conoscere per deliberare: è meglio perdere qualche ora di discussione in più che poi avere chi non si sente rappresentato, chi si sente escluso, chi si sente sotto un Governo autoritario e decide di scendere nelle piazze. Noi vogliamo che il confronto democratico avvenga pacificamente e avvenga qui, ma rispettando le regole; e il primo che deve rispettare le regole è il Governo. (Applausi).

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