Riforma della Scuola: Presidi non eletti e che non rispondono a nessuno, e teorie pedofile dietro la cosiddetta “educazione di genere”, già presente nelle scuole

209 commi che non possono nemmeno essere discussi dal Senato, pur di “fare in fretta” invece di fare bene

Intervento in Aula nella discussione della questione di fiducia sulla riforma della Scuola

Signor Presidente,

con l’approvazione che temo avverrà in quest’Aula e che sarà, poi, ratificata alla Camera – bisogna fare in fretta piuttosto che bene – la Scuola si reggerà in gran parte su una legge composta da 209 commi, tra i quali sarà difficile orientarsi anche per i più attrezzati funzionari, dirigenti scolastici e dirigenti provinciali. Questo perché, per guadagnare tempo, non si può chiedere la fiducia per ogni articolo, men che meno discutere gli emendamenti proposti su ogni articolo.

Diamo proprio un bell’insegnamento ai bambini, ai ragazzi, agli studenti: bisogna fare le cose male pur di lavorare poco, pur di non rischiare di discuterle. Ed è esattamente l’opposto di ciò che si deve insegnare a scuola. A scuola bisogna insegnare che ci vuole tempo. Mica per niente i percorsi di studio durano anni, altrimenti si potrebbero fare dei corsi scolastici per le elementari in una settimana, per le medie in tre giorni, per il liceo in altri cinque giorni e poi si fa l’università. Se si va così veloce, se in quarantott’ore si approva la legge sulla scuola, perché uno dovrebbe spendere cinque anni per imparare le cose che si insegnano alle elementari?

Bisogna fare in fretta e si presenta un maxiemendamento, la cui maggiore differenza rispetto al testo è che, anziché essere diviso in 26 articoli, è un solo articolo in 209 commi. Non ci sono cambiamenti, nonostante ne fossero stati suggeriti con gli emendamenti, per quel che ne so io. Non si possono neppure vedere gli emendamenti: in questo momento, in Aula c’è un volume che si riferisce solo ai subemendamenti affrettatamente presentati in Commissione sul maxiemendamento. E solo una lunga lettura ci permetterebbe di capire se il maxiemendamento presentato in Assemblea è lo stesso presentato in Commissione. Comunque, poco importa perché, tanto, non lo si è potuto esaminare né in Commissione, né in Aula.

Nulla sui Presidi. Ribadisco: è un bene che vi sia qualche figura che si assuma le responsabilità nella dirigenza dello Stato. Sono a favore dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che assommi, in gran parte e con i dovuti contrappesi, il potere dell’attuale Presidente della Repubblica e dell’attuale Presidente del Consiglio (non come esercitati oggi, senza contrappeso). E, pertanto, non posso essere pregiudizialmente contro una figura forte di Preside. Però, in primo luogo, il Presidente della Repubblica, così come il Sindaco e il Presidente della Regione, viene eletto; non così per il presidente della Città metropolitana, che, grazie a voi, non si può più scegliere e così, per diritto non si capisce bene di che cosa, è Sindaco anche di milioni di abitanti che non possono votarlo neanche volendo. Gli altri, per ora, sono ancora eleggibili. Invece il Preside no; c’è un concorso e poi qualche graduatoria, quindi il Preside capita in quella scuola lì. Una volta che è in quella scuola, sceglie lui chi può insegnare in quella scuola e chi invece deve insegnare altrove.

Ricordo ai Colleghi che non ci sono solo le grandi Città; non ci sono solo Milano, Roma, Torino o Napoli, ci sono anche le piccole città. Non c’è solo: «Se non insegni in questo liceo, insegnerai in quell’altro liceo; se non insegni in quella scuola media, insegnerai in quell’altra scuola media, facendo due fermate di autobus in più»; la realtà dell’Italia è soprattutto quella dei piccoli Centri. Ciò vuol dire che, quelli che saranno scelti dai Presidi per primi, avranno le cattedre tutte nello stesso posto, mentre poi ci saranno le cattedre spezzate. Questa è una realtà economicamente non accettabile, perché si spende molto in automobile; le scuole, infatti, sono talmente distanti o, comunque, gli orari sono tali che non permettono di usare il mezzo pubblico, per cui uno deve fare il giro della Provincia in auto per poter toccare tutte le sedi. È una realtà accettabile se lo fai per un anno o due e se poi le graduatorie ti portano ad avere una situazione migliore. Qui, invece, può succederti da un giorno all’altro una situazione di questo genere, sulla base di una decisione del Preside; il quale non risponde a nessuno, non subisce nessuna conseguenza di sue eventuali decisioni rovinose e sceglie il modo del tutto arbitrario.

La previsione secondo cui egli deve scrivere quali sono le motivazioni è risibile: tutti i giorni gli insegnanti sono obbligati a scrivere decine e decine di righe per motivare cose che non vanno motivate. Devono scrivere che «lo studente ha mostrato una capacità logica, analitica…» e bla bla. Tutto questo poi, alla fine, si sintetizza nel voto: 7, 6, 8, 5 o quello che è. Che difficoltà c’è a dire: «Ho scelto quell’insegnante lì perché il suo profilo e le sue esperienze didattiche» – seguono sproloqui, di cui questa legge peraltro è piena, che la maggior parte delle persone non capisce e che di solito non significano niente – «meglio si attagliano al profilo e al piano dell’offerta formativa proposta in questa scuola»? Punto, fine.

Io – e certamente non solo io ma anche molti altri – ho proposto delle correzioni, dei miglioramenti o addirittura la cancellazione di questo tipo di disciplina, ma non se ne può parlare, perché bisogna andare avanti così. Lo stesso Preside, sentito – bontà sua – il comitato di valutazione, deciderà anche a chi dare i premi per il cosiddetto merito, cioè il merito di piacere al Preside. Naturalmente, ai bravi Presidi andrà benissimo ma, se i Presidi sono buoni, perché dovrebbero essere cattivi gli insegnanti? E allora perché c’è bisogno del merito? Dovrebbero essere tutti bravi. Se tutti i Presidi sono buoni, non c’è bisogno di nulla. Piccolo problema: può succedere che i Presidi non siano buoni, così come può succedere che al Governo ci siano persone che non vanno bene; ecco perché c’è bisogno di un Parlamento che lo controlli. Può succedere che anche in Parlamento ci sia qualcuno che non va bene; ecco perché c’è bisogno di tanti Partiti. Però qui no: ci vuole una sola persona, non scelta da nessuno. Per cui abbiamo questa situazione immutata e indiscutibile.

Vorrei parlare anche di quello che è diventato il comma 16, il comma gender. Signor Presidente, so che poi anche altri parleranno di questo, ma io voglio fare riferimento solo a una cosa. Ho letto un comunicato in cui si riferisce che il Ministro ha preso impegni riguardo all’applicazione di questo comma 16 sull’educazione alla prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni. Si preannunciava una nota del Ministro, che al momento le agenzie non riportano. Già a un ordine del giorno viene data poca retta; ma qui neanche può essere presentato un ordine del giorno, perché è stata posta la fiducia; men che meno alle dichiarazioni private – con «private» intendo dire non pubbliche – di un gruppo di rispettabilissimi senatori nei confronti del Ministro. Il punto è che questo comma, dove si parla dell’educazione contro ogni discriminazione, deve essere messo in parallelo con il documento: «Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere», messo a punto dall’UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali).

Questa strategia è contenuta in un documento che non è fatto da un ente privato ma porta il timbro della Repubblica italiana, in quanto del Dipartimento delle Pari opportunità e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta di un piano per il 2013-2015; per cui, è in vigore e viene, ahimè, spesso applicato nelle scuole. In tale documento c’è una spiegazione estremamente chiara sul fatto che la cosiddetta educazione di genere viene fatta già oggi e, a maggior ragione, quando ci sarà questo comma. Il Governo deve ritirare questo ignobile documento – fatto, peraltro, contro la legge, perché l’UNAR dovrebbe occuparsi di discriminazioni etniche e razziali e non mi risulta che le persone di orientamento omosessuale siano né un popolo, né una razza, né una religione. Qui ci sono delle cose rivolte proprio alla scuola: c’è un capitolo intero sull’asse educazione-istruzione.

Si dice che le tematiche LGBT trovano spazi marginali nelle aule scolastiche e che, invece, va rafforzato il loro ruolo nella scuola. Si dice che è «auspicabile un’integrazione e aggiornamento sulle tematiche LGBT nei programmi scolastici e una promozione dell’informazione e comunicazione non stereotipata», a cominciare dagli asili nido e nelle scuole d’infanzia e per tutti i bambini. Ci vuole «il riconoscimento di crediti formativi». In particolare «la formazione dovrà riguardare: lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente; l’educazione affettivo-sessuale; la conoscenza delle nuove realtà familiari», (promuovendo come famiglia ciò che la Costituzione dice che non è tale). Si fa, inoltre, riferimento all’avvio «di accordi di collaborazione in materia di formazione a livello locale tra Uffici scolastici regionali e provinciali, enti locali e le associazioni LGBT». Si parla inoltre di «valorizzazione dell’expertise delle associazioni LGBT» sulle nuove realtà sociali, «integrazione delle materie antidiscriminatorie», cioè LGBT, nelle realtà scolastiche. In questo comma 16 si parla di discriminazioni e questo documento della Repubblica italiana dice che così si fa la politica antidiscriminatoria. Infine, a proposito di accreditamento delle strutture LGBT, a pagina 41 di questo documento c’è un paragrafo intitolato «Gli strumenti della governance» – l’Italiano non si può usare – in cui si dice che, nel gruppo nazionale di lavoro che ha collaborato alla stesura di questo documento, c’è il circolo culturale omosessuale «Mario Mieli». Costui era un giovane – perché è morto giovane, intellettuale, omosessuale militante – che scrisse, tra le altre cose: «Noi checche rivoluzionarie» – lo scrive costui cui viene intitolato uno dei circoli che partecipa alla formazione delle scuole – «sappiamo vedere nel bambino (…) l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro». Questo è quello che si vuole fare nelle scuole?

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