Cognome dei figli: se davvero si ritiene di intervenire, occorre farlo rispettando due cose fondamentali – la libertà e la consuetudine

A volte sembra che il Parlamento debba essere giudicato in base alla velocità, ma credo sia la qualità il requisito fondamentale di ogni nuova legge.

Intervento in Aula nella discussione sui disegni di legge di modifica del Codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli

Signor Presidente,

sarebbe facile ironizzare sulla scarsa urgenza che ha il provvedimento al nostro esame, ci sono sicuramente cose più urgenti. Non è certamente il problema dei cognomi che ha fatto parlare di distacco dalla politica, distacco che c’è stato da parte degli elettori di Sinistra nei confronti dei loro riferimenti politici e che una certa campagna di Stampa ha cercato di definire come fenomeno generale, addossando a tutti un problema che in realtà è solo di una parte, quantomeno in questo momento. Si potrebbe dire che, sulla questione dei cognomi, non c’è stata neppure una campagna di Stampa con articoli quotidiani su certi giornali ben schierati e ben orientati, seguiti magari da una discesina in campo di qualche importante esponente dell’antipolitica che dalla politica ha ricevuto ogni sorta di benefici.

Non c’è stato nulla di tutto questo, eppure stiamo discutendo dei cognomi. Tuttavia, non dirò che questo non è un provvedimento importante. È un provvedimento importante, anzi lo è anche troppo. Come è stato già detto, su questioni che riguardano la famiglia non viene prima la legge e poi la cosa: viene prima la cosa, la consuetudine, la tradizione che la legge cristallizza, che la legge norma e ne fa una regola applicabile nei casi di incertezza. È talmente vero questo che – ad esempio – per quanto riguarda l’attribuzione ai nuovi nati di un cognome, in nessuna parte dell’ordinamento della Repubblica, in nessuna legge, in nessun Codice c’è scritto che a un bambino o bambina venga attribuito il cognome del padre. Non c’è scritto da nessuna parte: questo fatto è determinato dalla consuetudine, dalla tradizione talmente forte che le eccezioni – quelle sì – vengono normate dalla legge.

Vorrei ricordare che ci vuole molta prudenza prima di intervenire su una materia di tal genere. In tutti i Paesi è vero questo. I Paesi che sono intervenuti per forza di legge a modificare una consuetudine, generalmente non sono stati Governi particolarmente democratici che avevano a cuore la libertà. A nessuno è venuto in mente di modificare – per esempio – la tradizione islandese dove non esiste un cognome ma solo il patronimico. L’islandese, oltre al nome suo proprio che gli viene attribuito dai genitori, ha non il cognome di famiglia ma il nome del padre – naturalmente, il nome proprio del padre – seguito da un suffisso che è «son» per i maschi e «dottir» per le femmine. In Russia ci sono tutti e due: c’è il patronimico, seguito dal cognome vero e proprio.

Nel nostro Paese, l’ultima volta che si è intervenuti con forma di obbligo sui cognomi, è stato un intervento, che non mi risulta di legge, per l’italianizzazione di certi nomi, per cui – grazie al Cielo – solo in alcuni casi e non in modo sistematico i Wiesenthal del Südtirol sono diventati Vallebianca e i nomi dei Paesi hanno cambiato forma: Courmayeur divenne – poi è ritornata al nome originale – Cormaiore o Cortemaggiore; qualche Malan divenne Malano (qualcuno lo era diventato già prima per questioni eufoniche); però, devo dire che quel Governo non è ricordato per il suo libertarismo e, tantomeno, per essere stato politically correct, perché era il regime fascista.

Allora, se si interviene su una materia di questo genere, ritengo si debba essere molto attenti e credo che, se davvero si ritiene di intervenire, occorre farlo rispettando due cose fondamentali: la libertà e la consuetudine. Fino a oggi è successo, come ho detto, senza neppure che questo fosse scritto in alcun testo di legge, che nessuno sceglieva il cognome dei figli visto che era dato dalla consuetudine, per cui automaticamente al bambino veniva attribuito il cognome del padre, naturalmente senza che dovesse essere fatta alcuna richiesta.

Allora, ritengo che, nell’eventuale formulazione di una nuova legge, un aspetto fondamentale dovrebbe essere che, se nulla si cambia, se i genitori nulla decidono di cambiare rispetto al passato – in altre parole non dichiarano nulla per quanto riguarda il cognome dei figli – nulla dovrebbe cambiare nell’attribuzione del cognome stesso e dovrebbe continuare a essere attribuito il cognome del padre. Invece, se c’è una espressa volontà da parte di entrambi i genitori di attribuire il cognome in modo diverso – ad esempio, come è già scritto nell’attuale testo di legge approvato dalla Commissione, in cui vi è la possibilità di avere entrambi i cognomi con in primo luogo il cognome del padre e poi quello della madre o viceversa, oppure solo il cognome del padre, oppure solo il cognome della madre – credo che, anche alla luce di quanto è stato detto dalla Corte Costituzionale – la quale, però, ha precisato che tocca al legislatore fare scelte in questo senso – toccherebbe a noi certamente intervenire ma, naturalmente, con discernimento; perché, altrimenti, significherebbe scrivere leggi sotto dettatura.

Vi sono anche delle decisioni di organismi internazionali, che però non hanno impedito – ad esempio alla Spagna, che ha sempre avuto la tradizione del doppio cognome, cioè del cognome del padre seguito da quello della madre – di mantenere la tradizione ove non ci fosse una scelta di consenso da parte dei genitori; per cui adesso, in Spagna, è possibile mettere per primo il cognome della madre e solo per secondo il cognome del padre ma, in caso di mancata decisione, resta per primo il cognome del padre, come è sempre stato. Non capisco perché dovremmo superare, in questa corsa, la Spagna.

Ci possono essere delle necessità o ci può essere semplicemente la libera scelta da parte dei genitori di imporre il doppio cognome o il cognome della madre. In Germania si può fare; anzi, in Germania addirittura è possibile che il marito assuma il cognome della moglie, e conosco qualcuno che ha fatto questa scelta. Se è una scelta libera, perché no? Inoltre, ci sono anche queste decisioni della Corte Costituzionale, ma non può essere imposto come obbligo, e dobbiamo anche essere molto attenti nel porlo come opportunità perché è evidente che tale possibilità di scelta può generare litigi, può generare malanimo fra le famiglie dei genitori che si contendono il primo posto o l’unico posto nella graduatoria. Dunque, nei casi ove venga richiesto e si ritenga di fare altre scelte, credo potremmo esaminare questa possibilità, ma imporla come obbligo – e vedo che ci sono parecchi emendamenti e disegni di legge in questo senso – è veramente indice di un cattivo modo di riferirsi alla società da parte del legislatore: il fatto di voler cambiare la società reale in nome di una società ideale. Questo approccio alla legge e alla società in passato ha causato gravissimi danni. Allora, credo che dobbiamo essere veramente molto cauti in questo tipo di leggi.

E aggiungo un punto: inevitabilmente qualunque intervento su questa normativa tende a sminuire la regola di avere il cognome del padre. Può sembrare una esigenza, questa, che va in direzione di una migliore tutela della donna. Sono del parere che, ove ci fosse un consenso da parte dei genitori, questo può sicuramente essere fatto. Ma non dimentichiamo che c’è anche un altro tipo di evoluzione nella nostra società. Non vi è soltanto un ruolo della donna, non paragonabile certamente a quello della donna di cento, ma anche di cinquant’anni fa. Vi è una parità dal punto di vista della legge assoluta. Vi sono delle difficoltà in alcuni settori, l’abbiamo dibattuto anche riguardo alla presenza delle donne negli organismi parlamentari, decisionali. Ma, dal punto di vista della legge, c’è una parità certamente. Ed è un fenomeno di cui va tenuto conto, essendo un diritto fondamentale. Vi è anche un altro fenomeno, non soltanto dei figli nati fuori dal matrimonio da coppie di fatto, ma dei figli abbandonati, ignorati dai genitori e, particolarmente, dal padre. Il fatto che avvenga più spesso che il padre si disinteressi dei figli piuttosto che la madre, è evidente; anche questo è – ahimè! – tradizionale; ma privare il padre di questo legame obbligatorio nei confronti dei figli può in qualche caso voler dire giustificare il colpevole disinteresse che a volte arriva al punto di non partecipare, come è preciso dovere dei padri, al sostentamento dei figli.

Non è una mia idea originale. Sappiamo quanto siano battagliere le femministe degli Stati Uniti d’America – sia in certi aspetti di estremismo, sia nelle concrete conquiste che hanno avuto -, una delle quali si sta manifestando, senza alcun obbligo di legge, in questi mesi, in cui uno dei principali – forse il principale candidato alla Presidenza – è proprio una donna; e non perché è una donna, ma perché è ritenuta da moltissimi elettori la persona più adatta a ricoprire quella posizione. Ebbene, l’argomento portato da numerose femministe molto attente in quel Paese è stato proprio quello: di fronte a un numero sempre maggiore di padri che si disinteressa dei figli o, al limite, che si interessa dei figli solo per quanto sono obbligati dalla legge, cioè nel mantenimento meramente economico e non all’educazione, alla presenza, che è dovere di un padre oltre che, naturalmente, di una madre (ma in questo secondo caso le inadempienze sono più rare o meno evidenti), proprio in nome di questo, molte femministe si sono dette che non serve questo provvedimento; anzi: rischia di andare verso un’ulteriore deresponsabilizzazione dei padri, specialmente quando i figli nascono fuori dal matrimonio, e dunque al di fuori di un legame che obbliga anche nei confronti del coniuge e non soltanto, naturalmente, nei confronti dei figli.

Ci sono dei punti importanti di questo provvedimento che vanno comunque esaminati, io ritengo con attenzione, anche ove si decidesse di soprassedere – cosa che non mi rattristerebbe particolarmente – alla normativa sui cognomi, come quello riguardante la completa parificazione dei figli per quanto riguarda i diritti, senza distinzione tra i figli nati all’interno del matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio. Questo è un punto molto importante e recepirebbe, oltretutto, veramente la sensibilità ormai unanime della nostra società. Oltre che un atto di giustizia, sarebbe anche un intervento pienamente coerente con il comune sentire nella nostra società. Nella nostra società si ritiene unanimemente che i genitori abbiano degli obblighi e un legame nei confronti dei figli del tutto indipendente dalla condizione in cui essi si trovano o al momento di concepire o anche in seguito, nel corso della vita dei figli. È un intervento importante e anch’esso va fatto ma con estrema attenzione, per evitare di creare problemi dove invece si vogliano risolvere. Quanto al resto, torno a ripetere che, prima di intervenire su un istituto talmente forte che non è neppure stabilito dalla legge ma unicamente dalla consuetudine, con la forza sua propria, occorre fare molta attenzione. Non è importante in questi casi la velocità. A volte sembra che il Parlamento debba essere giudicato in base alla velocità, ma credo sia la qualità il requisito fondamentale di ogni nuova legge. Se per la qualità è necessaria qualche settimana in più di dibattito o un ritorno in Commissione, credo che sicuramente la stessa vada privilegiata – specie in questo settore dove, accanto a un’esigenza sicuramente nobile e che comprende di dare, come è oltremodo giusto, pari dignità ai genitori, occorre anche evitare di creare occasioni di litigio e di contrasto. Ove ci sia piena libertà di scelta, sono del parere che si possa pensare di applicare il provvedimento non soltanto ai nuovi nati che non abbiano fratelli maggiori della stessa coppia, ma eventualmente anche ad altre determinate situazioni, ove però si tratti di una scelta di libertà.

Ciò posto, emerge da alcuni emendamenti, anche da quelli presentati dal Governo, questa proposta orribile dell’ordine alfabetico obbligatorio. Su questo punto ho proposto che, se proprio si deve prevedere l’obbligo del doppio cognome, almeno si tiri a sorte; è meglio tirare a sorte (in questo modo anche chi ha il cognome che inizia con la lettera zeta ha qualche possibilità di attribuirlo come primo al proprio figlio), piuttosto che far ricorso a un criterio ancor più casuale ma obbligatorio come quello dell’ordine alfabetico.

Dobbiamo fare anche attenzione a un’altra questione. Uno degli aspetti del matrimonio, o comunque dell’unione di due persone per generare figli, che produce particolare coesione sociale è la mobilità sociale del matrimonio, ovvero il matrimonio tra persone di strati sociali diversi. Sappiamo però bene che, nonostante l’apparenza che va in senso contrario, anche oggi, detta in modo un po’ rozzo, i ricchi tendono a sposare persone ricche e a non mescolarsi con coloro che vengono da strati sociali più bassi. Se istituiamo l’obbligo del doppio cognome, ci sarà una tendenza ancora più ridotta da parte di famiglie con cognomi altisonanti, in particolare da parte dei maschi, a prendersi una moglie con un cognome meno illustre e meno altisonante, per evitare che i propri figli abbiano un cognome che sia un ossimoro sociale, cioè con un primo cognome di particolare rilievo e prestigio e un secondo cognome più popolano. Naturalmente, l’auspicio di tutti è che si scelga la propria moglie e il proprio marito secondo altri criteri, ma non possiamo negare la realtà. Si potrebbero fare anche alcuni esempi di illustri personaggi, che forse avrebbero problemi a esibire il loro completo cognome, ma credo non sia riguardoso.

Concludo con qualche parola a favore della possibilità, ove ripeto vi sia il consenso, di scegliere un cognome che non sia quello del padre. Ricordiamo che nella famiglia probabilmente più illustre d’Europa, cioè nella famiglia reale inglese, i primi principi nella linea di successione – il principe Carlo, il principe William e suo fratello – devono il proprio ruolo alla loro nonna e non al loro nonno; appartengono alla famiglia reale per via della loro nonna. Chiamarli, se avessero un cognome vero e proprio, con il cognome del nonno significherebbe in realtà sminuire l’importanza della loro famiglia. Ci sono, pertanto, casi, ove lo ritengano le famiglie, in cui si potrebbe andare in questa direzione ma – ripeto – con grande attenzione, perché la maggior parte dei cittadini italiani non appartiene a famiglie reali.

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