Incrementare – come il ddl Amato-Ferrero intende fare – il numero di immigrati senza un lavoro, addirittura a partire dal momento del loro ingresso in Italia, implica un potenziale aumento di delitti e delinquenti
Intervento in Aula nella discussione del disegno di legge concernente il contrasto allo sfruttamento di lavoratori irregolarmente presenti sul territorio nazionale
Signor Presidente,
il provvedimento, così come giunge in Aula dopo il passaggio in Commissione, mi pare che costituisca un’efficace sintesi delle diverse sensibilità esistenti sul tema dell’immigrazione e sull’aspetto del contrasto allo sfruttamento dei lavoratori immigrati. Su questo punto, siamo tutti schierati allo stesso modo, cioè siamo fortemente contrari e desideriamo varare (ricordo che in Commissione il disegno di legge è stato approvato all’unanimità) un provvedimento equilibrato. Esso, da una parte, contempla sanzioni nei confronti del datore di lavoro e, dall’altra parte, prevede l’estensione anche ai lavoratori colpiti da questa nuova fattispecie di reato di alcune particolari facilitazioni per l’inserimento nella nostra società.
Sottolineo poi un altro aspetto positivo, che è quello di aver lavorato ampiamente – e do atto dell’impegno profuso in tal senso dai relatori Bianco e Livi Bacci – sul testo del Governo, che aveva creato forti perplessità nell’Opposizione, ma soprattutto di aver lavorato su un testo che non è una delega, in quanto vi è stata la disponibilità da parte dei proponenti e della Maggioranza di discutere un testo, andando a verificare – parola per parola, provvedimento per provvedimento, comma dopo comma – quali potessero essere le modifiche da apportare alle norme vigenti.
È stato quindi adottato un procedimento che ha consentito un lavoro efficace e approfondito, che non lascerà dubbi a chi deciderà di votare il provvedimento perché sa cosa vota. È lo stesso tipo di procedimento che abbiamo usato nella scorsa legislatura per modificare, in generale, le norme sull’immigrazione, con il disegno di legge divenuto la cosiddetta legge Bossi-Fini, che è stato portato in Aula senza relatore dopo un lunghissimo lavoro svolto in Commissione, in quanto c’era stata un’intensa attività di sbarramento da parte dell’allora Opposizione. In Aula sono state votate molte centinaia di emendamenti per giungere alla fine dell’esame del provvedimento. In quel caso non c’è stata la possibilità di raggiungere un accordo tra Maggioranza e Opposizione, ma c’è stata la possibilità di vedere con trasparenza e con piena conoscenza di tutti i parlamentari che cosa si andava a votare. Come avvenuto nella scorsa legislatura per la discussione del disegno di legge Bossi-Fini, si è dimostrato che è possibile lavorare su un provvedimento come questo senza dare deleghe al Governo.
Mentre si stava prevedendo questo equilibrato intervento con gli strumenti giusti e mentre stavamo discutendo il provvedimento in Commissione, è arrivato dal Governo il disegno di legge Amato-Ferrero che, invece, risponde a logiche completamente diverse. Tanto per cominciare, è un provvedimento composto unicamente da deleghe – ne ho contate 49 ma, in realtà, siccome alcune sono molto complesse, credo siano ancora di più – il che evidenzia la rinuncia del Parlamento a elaborare delle leggi, vale a dire ad adempiere il dovere cui è chiamato ad attendere in base all’articolo 70 della Costituzione, che gli assegna il processo di formazione delle leggi. Questo è un problema secondario rispetto alla logica da cui muove il disegno di legge Amato-Ferrero, che – a mio parere – contrasta anche con la logica del disegno di legge che andiamo ad approvare.
Il disegno di legge di cui stiamo parlando è mirato alla repressione – dunque, speriamo, alla prevenzione – dello sfruttamento dei lavoratori, in particolare degli immigrati clandestini che si trovano in una situazione di debolezza, tant’è vero che il grave sfruttamento dell’attività lavorativa, introdotto come reato specifico con l’articolo 603-bis del Codice penale, viene punito con pene severe e aggravate nel caso in cui lo sfruttamento sia fatto ai danni di minori di anni 18 o di stranieri irregolarmente soggiornanti, cioè di soggetti che si trovano in situazione di debolezza: i minori di anni 18, di qualunque origine siano, in quanto possono essere oggetto di particolari tipi di coercizione perché meno in grado di altri di difendere i propri diritti; i lavoratori irregolarmente soggiornanti per la specifica condizione di non avere un lavoro, di essere in un Paese che non è il loro e di essere privi di sostentamento, con la conseguente possibilità di manifestare disponibilità verso condizioni di lavoro fortemente degradanti, con tutti gli aspetti definiti da questo disegno di legge.
Allora, senz’altro un elemento deve essere svolto dal punto di vista della repressione, cioè l’aumento delle pene e anche delle sanzioni accessorie, come per esempio l’esclusione dal percepimento di aiuti dallo Stato o la partecipazione a gare d’appalto per coloro che pongono in essere lo sfruttamento, ma occorre anche evitare che arrivino in Italia ulteriori persone che siano facili vittime di questo sfruttamento.
Il disegno di legge approvato nella scorsa legislatura e promosso dal Governo Berlusconi, la cosiddetta legge Bossi-Fini, ha legato la possibilità di entrare e di continuare a risiedere in Italia a un effettivo rapporto di lavoro proprio per evitare che in Italia vi sia un gran numero di persone che si trovino in situazioni di debolezza e, di conseguenza, portate, per un verso, a essere vittime di sfruttamento e, per un altro verso, a incrementare la criminalità.
Il disegno di legge Amato-Ferrero va esattamente nella direzione opposta. Cito soltanto alcuni elementi. Si parla di stabilire flussi basati non sulle necessità del mercato del lavoro ma sulla capacità di assorbimento del mercato del lavoro: se ci sono 1.000 richieste di lavoratori dall’estero, bisogna dare un numero maggiore di permessi d’ingresso nel nostro Paese perché forse gli altri – quelli che ancora non sono oggetto di richiesta da parte dei datori di lavoro – saranno assorbiti in seguito. Infatti, è specificamente affermato che chi avrà un contratto di lavoro fino a sei mesi potrà permanere nel Paese per un anno, chi avrà un contratto di lavoro da 6 a 12 mesi – cioè anche di 6 mesi e un giorno – potrà restare nel nostro Paese per due anni. E, nei rimanenti 17 mesi e 29 giorni, cosa farà questo ex lavoratore straniero?
Questo ex lavoratore straniero, che viene nel nostro Paese verosimilmente perché nel suo Paese d’origine era in condizioni di disagio – difficilmente arriva nel nostro Paese una persona carica di soldi, in grado di mantenersi nel caso in cui perde il lavoro – cosa farà negli altri 18 mesi in cui il disegno di legge Amato-Ferrero vorrebbe lasciarlo ancora in Italia, anche se privo di un lavoro? Certamente cercherà un lavoro, secondo quanto già consentito dalla legge vigente, ma, se in quell’arco di tempo non lo troverà, non sarà in grado di assicurarsi un sostentamento e, quindi, avrà verosimilmente due alternative: da un lato, prestarsi, consenziente, a essere sfruttato in condizioni degradanti – un aspetto che si vuole punire più severamente con questo disegno di legge; dall’altro, essere tentato di infoltire le file della criminalità, una prospettiva di cui i cittadini italiani non sentono davvero il bisogno. Addirittura, nel disegno di legge Amato-Ferrero si parla di permessi per attesa di occupazione di un anno. Il termine “attesa” lascia intendere una certa passività, che lascia poco sperare sul risultato di questa attesa. Fin dall’inizio si rischia di far arrivare in Italia tante potenziali vittime dei reclutatori o di criminalità o di lavoratori da sfruttare. È bene, giusto e doveroso punire chi sfrutta i lavoratori immigrati, in misura crescente a seconda del grado di sfruttamento, ma bisogna anche evitare di fornire il serbatoio dal quale trarre nuovi lavoratori da sfruttare e nuove reclute per la criminalità.
Mi limito a ricordare una cifra. È noto che un terzo dei detenuti nelle nostre carceri è costituito da persone immigrate nel nostro Paese. Ci viene detto e ripetuto – e credo che vi sia fondatezza statistica su tale cifra – che, in realtà, coloro che hanno commesso delitti e sono finiti in carcere sono quasi esclusivamente immigrati clandestini, dal momento che tra gli immigrati regolari il tasso di criminalità è addirittura inferiore a quello medio dei cittadini italiani. La ragione è forse da attribuirsi al fatto che hanno un certo timbro sul passaporto? Ritengo che ciò dipenda dal fatto che, grazie alle leggi in vigore, chi si trova nel nostro Paese può starci grazie a un lavoro, a un sostentamento; senza dunque aver necessità, per mantenere se stesso e la propria famiglia – e a prescindere che si trovi in Italia o sia rimasta nel Paese di origine – di dover cercare il proprio sostentamento altrove. Anzi, sono addirittura più incentivati dei cittadini italiani a comportarsi bene perché, nel caso in cui commettessero dei delitti, nella loro condizione di immigrati rischierebbero non soltanto la punizione del reato, ma anche l’espulsione e, di conseguenza, il venir meno di quella situazione di cui evidentemente sono contenti se l’hanno cercata. Incrementare, invece, il numero di persone che non hanno un lavoro, addirittura a partire dal momento del loro ingresso in Italia, implica un potenziale incremento di delitti e delinquenti.
Se questi sono i dati e se è vero quanto ci viene detto da autorevoli esponenti del centrosinistra – vale a dire che quel 30 per cento di detenuti proviene quasi esclusivamente dalle file dell’immigrazione clandestina – ne deriva che, stimando in 700.000-800.000 gli immigrati clandestini, 1 su 40 immigrati clandestini è finito in carcere per aver commesso delitti. Ciò purtroppo non vuol dire che soltanto 1 su 40 ha commesso delitti, considerato che 19 reati su 20 restano impuniti per l’estrema difficoltà di trovare i colpevoli.
Poiché è altresì noto che gli immigrati clandestini sono particolarmente soggetti a commettere delitti, manifestando un tasso di criminalità superiore agli altri non perché intrinsecamente peggiori dei cittadini italiani ma perché in situazione di bisogno e di grave debolezza, non si può assolutamente pensare di aumentare il serbatoio da cui trarre nuove reclute per la criminalità e tanto meno nuove vittime costrette a lavorare in condizioni inumane e degradanti e dunque gravemente sfruttate.
Pertanto, per le stesse ragioni per le quali sono fortemente contrario all’impostazione del disegno di legge Amato-Ferrero, sono favorevole a questo disegno di legge. Su un punto infatti siamo d’accordo: bisogna punire gravemente coloro che, per aumentare i propri profitti – e, in alcuni casi, per rendere profittevoli attività che altrimenti, senza lo sfruttamento, non lo sarebbero – riducono dei lavoratori in condizioni che confinano con schiavitù. Attenzione, però, a non aumentare le possibilità che questo delitto si realizzi. Certo, grazie a questa legge ci sarà una repressione più forte e severa ma, in realtà, questo reato verrà commesso più frequentemente.